cose da dire (4)

Quarta ed ultima puntata.
Tornare su i miei passi non mi ha mai portato bene.
Lo so perché l’ho fatto diverse volte, in nome di una indefessa, messa in discussione delle mie idee (si dice, no, che solo i morti e gli stupidi non cambiano idea, o cose così).
Bene, tutte le volte che l’ho fatto, è stato un fallimento.
Certo, si dirà, anche i fallimenti servono a a qualcosa, ma non è che bisogna andarseli a cercare i fallimenti. Non mi sembra sano. Lasciamo alla Vita l’esclusiva possibilità di metterci davanti a fallimenti e crisi. Basta e avanza.
Ho provato a tornare in un gruppo teatrale, che gli eventi mi avevano portato a lasciare, ed è stato un discreto fallimento, ho cercato di riformare dopo tanti anni un gruppo musicale che fu molto importante per me, ma il progetto è tristemente naufragato.
Ho provato a rimettermi a fare cose, attività, che anni prima avevo deciso di lasciare, ma è stato deludente: le cose non funzionavano come una volta, difficoltà di ogni tipo. Non ho esperienza in ambito sentimentale sul tema “tornare sui propri passi”, ma credo valga lo stesso discorso. Anzi, a dire il vero, ho esperienza anche in questo campo; esperienza che, indicativamente mi conferma certe supposizioni, ma parlarne mi viene difficile. Le relazioni di coppia sono molto complesse e delicate.
Non basta mettercela tutta per starci dentro, spesso interviene qualcosa di inaspettato a distruggere i piani, per esempio una pseudo-pandemia. Quando per qualunque ragione un capitolo si chiude, la cosa più saggia da fare è voltare pagina o anche cambiare libro.
Cercare di resistere al cambiamento non è sano, produce malessere.
Resistere non fa bene.
Oggi anche la parola “Resistenza”, per me, ha perso il suo intoccabile valore positivo, ma questo discorso meriterebbe un approfondimento a parte.
Bene. Ho preso atto che, in questi due anni, mi sono allontanato (o sono stato allontanato, difficile da dire) da molti luoghi che erano i miei luoghi di riferimento (spazi sociali, teatrali, conviviali…), mi sono allontanato (o sono stato allontanato) da molte persone che erano la mia comunità e mi sono allontanato (o sono stato allontanato) da un Movimento, o come vogliamo chiamarlo, che si è dimostrato, oltre che debole, e questo già lo si sapeva e non era un problema, anche politicamente, nei contenuti, inconsistente.
Di questa presa d’atto ne ho già scritto quando ho parlato dell’elaborazione di un mio personale lutto.
Ora, alla luce di tutto quello che ho scritto, tornare sui miei passi, tornare a frequentare certi luoghi, certe persone, certe lotte, credo sia sbagliato.
La Vita mi dice di fare altro.
Potrei anche provare a tornare sui miei passi, provare a far finta di niente, ma, lo so, nulla sarebbe come prima, tutto sarebbe fasullo, deludente, considerato anche che non sento ci sia la volontà di un serio confronto collettivo riguardo quel che è successo al mondo, a noi, e alla nostra relazione.
Si vuole solamente, prima possibile, tornare a quello che c’era prima.
E questo lo trovo deludente e triste.
Questo è quello che avevo da dire.
Scusate se sono stato noioso o se mi sono ripetuto.
Avevo bisogno di esprimermi in modo chiaro e definitivo.
FINE

cose da dire (3)

Terza puntata.

Apro una parentesi.
Un modo di esprimermi l’ho sempre trovato anche nella produzione e nella diffusione di musica e fanzines (prima) e libri e riviste (poi).
Riguardo la mia esperienza con i vinili e le fanzines ci potrei scrivere per ore. Prima o poi lo farò.
Anche il libro ha rivestito un ruolo importante nella mia originale vita (“originale” nel senso di “personale” ed “unica” cioè solo mia).
Alcuni libri mi hanno letteralmente sconvolto, ma di centinaia e centinaia ne ho letto solo poche pagine, o poche righe, e poi li ho mollati, annoiato.
Non posso dire quindi di essere stato un lettore accanito; libri ne ho letti (pochi romanzi e pochi classici), ma non sono un esperto lettore.
Succede, riguardo i libri, la stessa cosa che mi succedeva quando dicevo di suonare uno strumento o di cantare, che mi chiedevano di fare un pezzo dei Beatles o dei Deep Purple o di cantare una canzone di Guccini. Dicevo loro che non sapevo suonarli o cantarli, che suonavo e cantavo solo pezzi miei. Che più che cantare, urlavo.
Adesso mi chiedono se ho letto l’ultimo di Carofiglio ed io rispondo di non conoscere Carofiglio, per dire.
Non sono diventato un cantante e non sono diventato uno scrittore, come d’altronde non sono mai diventato un attore o un danzatore.
Potrebbe far ridere qualcuno, ma a me è sempre piaciuto confezionare pacchetti, spedire e ricevere lettere, sorprendere il destinatario con piccoli regali inaspettati.
E’ sempre stato un altro modo di esprimermi.
Un mio modo per incontrare persone in altre dimensioni.
Nel confezionare pacchetti trovavo una pace interiore inaspettata.
Sorprendentemente, anche passare molto tempo in Posta mi ha sempre rilassato. Adesso, purtroppo, meno.
E non lo facevo per soldi e neppure per intortare le persone.
Secondo me questo è amore.
Chiusa parentesi.
(Continua)

cose da dire (2)

Seconda puntata.
Ho fatto mille esperienze per cercare testardamente il modo di esprimermi, specialmente in ambiti che definiamo artistici, ma anche in altri contesti.
Verso la metà degli anni 80, sono entrato in contatto con la musica e l’editoria autoprodotte e poi con i posti occupati. Mi piaceva un botto, mi sentivo a mio agio, ne ero entusiasta, ma cambiare il mondo, no, non mi interessava veramente. Adesso posso dire, più modestamente, che io volevo solamente essere il mondo che avevo dentro, dargli spazio, e stare con persone che mi capivano, che non dovevo spiegargli tutto.
Questo è quello che volevo.
Verso la fine degli ottanta sono stato assorbito da movimenti che volevano la trasformazione della società, che volevano un certo tipo di trasformazione. Forze che apparentemente avevano le idee chiare. Con queste forze ci ho fatto i conti per tanti anni. Forze, più o meno forti, con le quali ho trattato, collaborato. E per anni mi sono convinto di voler anche io una trasformazione sociale. Andare all’assalto del Sistema.
Doveva andare così.
Ma non sono mai stato un militante, un soldato al servizio di un ideale. Avevo ed ho i miei ideali, ma non ho mai creduto di dovermi sacrificare perché diventassero quelli della maggioranza delle persone. Non sono mai stato portato alla propaganda e alle strategie di comunicazione atte a convincere gli altri.
Quando l’ho fatto, quando ho provato a farlo, sentivo, anzi avevo il sentore, di non essere nel mio, di uscire dalla mia strada. La mia strada è sempre stata quella che mi portava ad esprimere me stesso: sui palchi, in strada, nelle sale prove.
E’ sempre stata la mia inconsapevole e buona ossessione.
Dalla musica e le fanzines, sono passato ai libri, al teatro, poi alla danza, all’improvvisazione corporea, sfiorando la scrittura. Quello che ho fatto artisticamente l’ho sempre messo a disposizione di un ideale, di una lotta. E’ stato usato. Anche non capito. Ma, ripeto, non era esattamente quello ciò che mi interessava. Non erano le lotte il mio fine. Il mio fine era l’espressione in sé.
Per quello che non ho mai venduto volentieri la mia espressione: era un regalo, prima di tutto a me stesso.
Adesso posso dire che la mia espressività, ovviamente, era anche un mezzo.
Era il mezzo attraverso il quale ho cercato di conoscermi.
Conoscere il vero me stesso. Quello che sta sotto la maschera. Un mezzo per andare oltre, in altre dimensioni, luoghi dove il vero me stesso ci vive beato, luoghi senza tempo e senza spazio.
Per quello che spesso quello che ho fatto, per molti, sfiorava l’incomprensibile…
(continua)

cose da dire (1)

Prima puntata.

Ormai è così, cari amici, il Vito che conoscevate un paio di anni fa non esiste più. Passato a nuova vita.
Per qualche mese ho cercato di resistere, salvare il salvabile, rimanere attaccato come una cozza a quello che sono stato per tantissimi anni, ma piano piano, colpo su colpo, le resistenze stanno definitivamente cadendo e, non proprio serenamente, lo ammetto, adesso, ho passato la soglia, sono andato oltre.
Bye bye.
Cosa vuol dire ciò?
Vuol dire che non mi vedrete più, che me ne sto fuori, che questo periodo di isolamento mi ha fatto comprendere perché, in passato, ho fatto quello che ho fatto e cosa, adesso, sia giusto per me fare. Ha svelato a me stesso quello che non sono mai stato. Quello per il quale sono destinato.
Se guardo alla mia vita passata in modo distaccato, come se non mi appartenesse, tra le tante cose che vedo, riconosco, un percorso tutto mio, originale. Riconosco qual’è il fare e l’agire che mi ha sempre guidato. Riconosco il fatto, per esempio, che io, il mondo, non lo l’abbia mai voluto cambiare. Questo non vuol dire che io non l’abbia cambiato, sia chiaro: ogni cosa che ho fatto ha mutato la realtà. La mia realtà.
Invece, cercare testardamente il modo di esprimermi, si, questo è stato sempre fondamentale….
(continua)