Non dare nulla per scontato

Non dare nulla, ma proprio nulla, per scontato.
Non sto parlando di saldi e offerte speciali, mi riferisco ad una condizione patologica che l’homo modernicus pre-catastroficus vive da qualche decina di anni in occidente (nel senso scontato del termine).
Mi riferisco al fatto che tutti, o quasi tutti, diano il nostro modo di vivere come acquisito, conquistato, appunto, scontato.
La pensione per esempio. Tutti pensano che bisogna vivere e lavorare per poter un giorno, da vecchi, riposare avendo uno stipendio garantito: “godersi il meritato riposo”.
Diamo per scontato che si debba avere un lavoro – lo dice anche la Costituzione! – come se lavorare fosse una espressione naturale dell’uomo di tutti i tempi, quando sappiamo che per milioni di anni l’umanità non ha lavorato. Mi permetto di dire che si dà per scontata la catena di montaggio addirittura, il lavoro in miniera così come fare il presentatore di quiz televisivi. Si dà per scontata la pompa di benzina, la bolletta della luce. Ma direi di più, si danno per scontato tante altre cose, oltre il bancomat, la polizia stradale, il Canadair e la lavastoviglie, si dà per scontato che non ci saranno più guerre, che non ci sarà più la fame, che non si soffrirà più il freddo, al massimo si farà fatica ad arrivare a fine mese. Si dà per scontato che debba esistere il carcere, così come il corso di danza per la figlia.
Andiamo in panico se manca lo zucchero per il caffè o il formaggio da grattare sugli spaghetti. Viviamo come se non dovessimo ammalarci mai, come se dovessimo vivere in eterno, anche se si pensa che l’unica cosa certa sia la morte, cosa c’è di più scontata della morte?
È ovvio che tutto questa scontatezza sia pericolosa e che nasconda una fragilità ed una ingenuità che non lascia presagire niente di buono per il futuro.
Credo quindi che sia meglio approcciare la vita in una maniera meno scontata, meno ipocrita, svelando la precarietà di ogni momento, di ogni cosa, di ogni rapporto.
22/09/2011

Note a margine di una malattia

Scrivevo ad inizio dicembre….

A questo punto, credo di poter dire d’essere guarito dalla malattia del momento: un’influenza, che aveva tutti i sintomi che la potevano identificare come C*v*d, non so di quale varietà.
Siccome, però, non mi sono sottoposto al rito del tampone, scegliendo di affrontare questa esperienza come una normale influenza, con la consapevolezza che quello che non è normale è il periodo che stiamo vivendo, una situazione sociale e mentale che condiziona pesantemente il percorso della malattia e della guarigione, non posso dimostrare ufficialmente di averlo contratto.
I sintomi però erano quelli: mal di testa continuo, febbre non troppo alta (credo che la massima sia arrivata a 38 e mezzo), sofferenza generale, muco a livello nasale e bronchiale con, da lì a poco, un po’ di tosse, e, dopo qualche giorno, la perdita dell’olfatto e del gusto che è durata una decina di giorni. Oltre ai sintomi, ci sono altre ragioni che mi fanno pensare di aver contratto il famigerato virus, ma sono cose private che hanno a che fare con le modalità di contagio. Se vi interessa, ve lo spiego in privato.
Dunque…la prima cosa con la quale ho dovuto fare i conti, forse la più importante, è sapere di non poter far affidamento sul sistema sanitario e nel dover affrontare la gestione della cura in autogestione. Questo cambia una mare di cose.
Inoltre, oltre alla gestione della cura fisica, sapevo di dovermi occupare anche della gestione delle emozioni, mie e di chi mi stava attorno.
Il medico di base non l’ho neppure contattato perchè tanto non avrebbe fatto niente – il mio è un medico ligio al protocollo “Tachipirina e ci sentiamo fra qualche giorno”. Avrebbe solamente segnalato il mio caso ai tipi dell’ASL, che a loro volta non avrebbero fatto niente, se non cercarmi telefonicamente per fissarmi un appuntamento per il tampone, dettarmi le loro regole, eccetera eccetera).
Riguardo la cura mi sono arrangiato seguendo indicativamente un protocollo non istituzionale di cura domiciliare, affidandomi ai rimedi naturali, consigli di un medico omeopata e altre cose, mentre riguardo la gestione delle emozioni, che potevo fare? Ho cercato di starci dentro, osservandomi, sapendo che sarebbero giunte una o più crisi psicologiche a cui far fronte; crisi che puntualmente sono arrivate.
Il fatto di ritrovarsi “soli” a dover fare i conti con questa malattia in questo contesto sociale e mentale, ha creato una massa di problemi enormi in questi 22 mesi. Specialmente alle persone anziane. Approfondirò.
Ma prima torno un attimo indietro, al discorso tamponi…
Perché non ho fatto il tampone? I motivi sono diversi.
Uno dei miei obiettivi, oltre quello di cercare di evitare di finire in ospedale, era quello di non entrare nel tritacarne del Sistema burocratico così amorevole ed efficiente. Voler star fuori dal Sistema è un atteggiamento ormai super esperenziato nella mia vita, un atteggiamento di autodifesa che mi ha portato a fare questa scelta in una maniera naturale, logica.
Non aver fatto il tampone non mi ha comportato, direi, nessuna conseguenza negativa.
Alcuni, utilitaristicamente, mi hanno consigliato di sottopormi al test, per poi, una volta guarito, avere il diritto automatico di ottenere il GP. No, grazie.
Il GP è un un obbrobrio, una tessera discriminatoria e pericolosa. Per me se la possono tenere. Quindi non era un buon argomento.
Non autodenunciarmi all’Asl mi ha evitato diverse cose sgradite, per esempio, ore di coda, non so dove (non vengono a casa a farti il tampone), in condizione di salute precaria, per almeno due volte, ma anche tre o più volte, nel caso il tampone avesse sentenziato una continua positività. Evitare di sottopormi al tampone mi ha evitato, ovviamente di sottostare a controlli e quarantene. La gestione della mia ipotetica contagiosità non è stata demandata ad un test diagnostico la cui attendibilità è molto dubbia, ma alla mia libera autodeterminazione.
Attenzione però, autodeterminazione significa prendersi carico delle proprie scelte, assumersi la responsabilità del proprio agire quotidiano, in prima persona.
Si parla tanto di responsabilità verso gli altri, ma facciamo decidere a strumenti diagnostici, a sieri miracolosi, quando e come possiamo stringere la mano a qualcuno. In sostanza, rifiutando il tampone, ho difeso l’innata capacità di decidere quando ci sentiamo malati e quando guariti.
E su questo mi sarei aspettato, da parte dei miei luoghi politici di riferimento, che non si prescindesse.
Ma torniamo alle cure e alle crisi…
Per i primi due giorni ho deciso di non fare niente, lasciare che la la febbre facesse il suo dovere, sopportando il mal di testa e tutto il resto. La febbre è necessaria. La febbre è parte della autocura e non un sintomo da combattere. Eventualmente da tenere sotto controllo, ma non demonizzare. Come detto, non credo che la temperatura si sia alzata oltre i 38, 38 e mezzo. In passato, anche recente, ho lasciato sfogare febbri che sono arrivate, forse, anche a 40 e sono sicuro di riconoscerle: solitamente, oltre a sudare tantissimo, il battito cardiaco accellerato, comincio a pensare in una maniera molto strana. Questa volta era tutto più tranquillo.
Solitamente quando sono influenzato non prendo farmaci chimici, ma in questa situazione, dopo tutto quello che ci hanno raccontato, che ci hanno fatto vedere, sulle conseguenze di questa malattia, non ero così tranquillo e, al terzo giorno, ho deciso di prendere, due volte al giorno, un antinfiammatorio a base di ibuprofene, e dopo qualche giorno, la sera, un mucolitico.
Mi sono, poi, dedicato con diligenza, come mai fatto prima, alle pratiche naturali, alla portata di tutti e poco costose: fumenti, applicazioni di semi di lino calde sul petto, bevande calde, vitamina C, D, sciroppo di olivello spinoso, sciroppo di echinacea, esposizione ai raggi del sole, meditazione e per 20 giorni mi sono astenuto, ovviamente, dall’assumere zuccheri, caffè, alcool.
Ma veniamo all’aspetto psicologico…
Le emozioni e i pensieri creano malattia. Alimentano la malattia. Possono essere estremamente pericolosi.
Dopo una settimana circa dai primi sintomi, una mattina, nel giro di poche ore, mi arriva notizia che un paio di amici, anche loro infuenzati, sono costretti, dalle circostanze, a rivolgersi al Pronto Soccorso e, nelle stesse ore, mi chiama un’amica spaventata per la morte, intubato, di un suo conoscente. Sento preoccupazione. Mi agito. La mia respirazione perde serenità, il mio petto comincia a bloccarsi. Ho visto come si muove la paura e quali sono gli organi che va a disturbare.
Ho visto come la paura cerca di farti perdere lucidità, come si può impossessare di te. E ho visto come un vecchio poteva reagire in una situazione di solitudine, con un corpo debilitato, in un ambiente colmo di informazione terroristica.
In sostanza, ho visto come la paura ti voglia portare verso la morte.
Nel mio caso, la situazione fisica non era grave, sapevo sarebbero potuti arrivare momenti come questo e soprattutto su questo tema ci avevo già riflettuto tantissimo in questi due anni e anche prima.
Quindi, aiutato anche dall’arrivo di notizie positive legate alle vicende dei miei amici, sono riuscito a calmarmi.
Questo è stato il momento più difficile, durato qualche ora.
Niente di troppo drammatico, ma importante.
Non vorrei dilungarmi troppo su questa questione: le emozioni, la paura, il terrorismo mediatico, la bolla patologica nella quale siamo stati costretti a vivere in questi due anni, dico solo che questa, secondo me, è la causa principale della morte di centinaia di migliaia di persone e che, quindi, ci sono umanissime responsabilità per quello che è accaduto e sta continuando a accadere. Mi sono spiegato?
Ho poi qualcosa di bello da dire.
A casa, in queste tre settimane, non ero solo, la mia compagna era con me, si è ammalata anche lei, per stare con me.
Abbiamo condiviso sofferenze e anche preoccupazioni.
Ci siamo sostenuti.
E intorno a noi, nella comunità in cui vivo, abbiamo ricevuto sostegno materiale e psicologico, anche inaspettato.
Visto i tempi che corrono, questo non era scontato.
Ci hanno fatto la spesa, comprato medicinali, andati a prendere la legna per la stufa, coccolati con piatti veramente curativi, piccoli gesti amorevoli.
Un aiuto enorme. Che risolleva l’animo.
Grazie.
In conclusione, oltre a dire che questa è stata la MIA esperienza, che queste sono state le MIE scelte, oltre a dire che questa personale avventura è cosa insignificante perché, a volte ce lo dimentichiamo, nonostante tutto, NONOSTANTE TUTTO, sono centinaia e centinaia di milioni le persone che sono guarite da questa influenza, oltre a dire che mi sono scoperto libero dalla paura come non mai, oltre a non dire tante altre cose che te le risparmio, finisco con un pensiero a tutti coloro che sono morti, da soli, abbandonati, terrorizzati, vecchi e anche giovani, uccisi non dal virus, ma dal Sistema di pensiero dominante che ha creato questa situazione.
Da questo pensiero dominante abbiamo il dovere di staccarci definitivamente. Se non lo vediamo adesso che questo pensiero non può che fare sempre più danni, saremo destinati a continuare a vivere esperienze di questo tipo.
Alla prossima…

Vuoti che generano imprevedibilità

Alla fine, penso sia un bene che la Sinistra e il movimento antagonista tutto, se ne stiano buoni e allineati durante questa psicopandemia. Se fossero in piazza, vedremmo le stesse dinamiche da qualche decennio diventate completamente prevedibili. La loro assenza lascia un interessante margine di imprevedibilità riguardo quel che potrebbe accadere. Questa assenza, inoltre, obbliga una consistente fetta di popolazione a confrontarsi, forse per la prima volta, con l’arroganza e la violenza del potere e credo che questa sia una buona cosa. Infine mi spinge a conoscere tanti pensatori sconosciuti, nuovi e stimolanti punti di vista filosofici, spirituali, politici, pedagogici, medico scientifici, financo agricoli, che altrimenti non prenderei in considerazione.

La mia Libertà finisce dove finisce la tua

Sta succedendo che io, come molti altri, in una maniera tristemente democratica, venga discriminato.
Nel senso che non posso fare tutto quello che gli altri possono fare.
Non posso entrare in alcuni luoghi e quindi non posso fare alcune cose.
Alcune cose relativamente poco importanti, come per esempio andare al ristorante, al cinema, prendere un treno, altre indubbiamente più importanti come per esempio andare all’università, in biblioteca, e chissà cos’altro in futuro.
E questo, non perché io abbia commesso qualche reato particolare, ma semplicemente perché ho fatto una scelta.
Una scelta, oltretutto, permessa dalla Legge.
In sostanza non ho infranto nessuna legge dello Stato.
Sono discriminato mentre molti amici e compagni non lo sono.
Mi domando come possano le persone, che hanno deciso altrimenti, che mi conoscono, con le quali ho collaborato, con le quali ho condiviso esperienze, con le quali ho legami di amicizia, di affetto, di parentela e financo politici, restare indifferenti a questa mia condizione.
Eppure sento che sta succedendo proprio questo.
Chi ha fatto una scelta diversa dalla mia, sembra, in rapporto a questa palese discriminazione, continuare a vivere come se niente fosse. Alcuni, addirittura, ritengono questa discriminazione giustificata.
Tutto questo mi intristisce molto. Veramente.
Cari amici e amiche, parenti, compagni e compagne, non vi sento.
Non sento la vostra solidarietà. Non sento parole di vicinanza.
Siete lontani.