La prima volta che la vide non si rese conto.
Non si rese conto che sarebbe diventata la sua compagna, che ci avrebbe condiviso gli anni più intensi della propria vita e che l’avrebbe persa lo stesso.
Quel primo incontro è uno dei pochi momenti della sua vita che avrebbe il piacere di poter rivivere. Entrare per pochi secondi, un minuto anche, nel suo, di se stesso, corpo, molto più giovane, e osservare e osservarsi, l’ambiente, i rumori, le parole dette e non dette, i pensieri.
La memoria non può andare oltre una immagine confusa, una cintura borchiata, forse.
Non era sola, questo lo ricordava bene, e neppure lui era solo.
Forse era la prima volta che andava in quella città, o cittadina, forse neanche cittadina, ma per lui era comunque un posto da scoprire, in cui la gente gli sembrava diversa, con un proprio carattere, si sbagliava.
La cittadina in questione non ha memoria di quel giorno e di quell’incontro. Troppo presa a fare un cazzo di interessante, nessuno si ricorda della sua cintura borchiata, del suo sguardo e delle sue parole.
Oltre ad immaginarsi queste poche cose, riusciva un poco anche a ricordare l’energia del proprio corpo, la testa più lucida di ora, l’ingenuità leggera del proprio camminare, il respiro rotto a tratti dall’emozione di stare lì e non altrove, in compagnia di un amico piuttosto di un altro, davanti a questa persona mai vista prima, sopra un pavimento liscio e l’indifferenza della gente.
Stare lì, era la cosa più giusta e importante da fare in quel momento, ma non se n’era reso conto. D’altronde succede così, anche se non sempre.
La seconda volta che la vide non se lo ricorda, può solo fare congetture, analisi logica del proprio passato vivere quotidiano e supporre un luogo e un tempo. Stava vivendo un bel periodo, conosceva tanta gente, si dicevano tante cretinate, ma anche qualcosa di meraviglioso.
Forse la vide di nuovo in una di queste occasioni, tanta gente insieme, un concerto, si, forse la vide prima e durante un concerto, o anche dopo. Non la vide ballare, piuttosto toccare, spingere, scappare, farsi prendere, fumare, fare una smorfia, mandare qualcuno affanculo.
Di quel tempo molte persone sono rimaste nella sua vita, le vede ancora, qualcuno è uguale a quel che era, altri non ci sono più, ma comunque tutti continuano a viaggiare nel tempo e tornano là dove molti si incontrarono e non si lasciarono mai.
La terza volta che la vide le diede una musicassetta, promessa forse nel secondo incontro o in probabili altri tra il secondo e il terzo, due virgola cinque, diciamo.
Quella musicassetta C60 conteneva una parte del suo cuore, e lei non rimase indifferente anche se scappò.
Scappò in uno spazio vuoto della memoria, uno spazio incalcolabile, potrebbero essere anni come millesimi di secondo, è uno spazio vuoto che si può riempire con cose belle o brutte, a piacere, tanto nessuno viene a dire nulla, se ne può fare quello che si vuole e questo è bello. Non avere memoria fa sentire creatore, mettere le persone dove e come vuoi, a testa in giù, piccole come formiche, a fare cose che nemmeno si possono immaginare, le si possono vedere nude o giocare sull’altalena, o tutt’e due. E anche la propria presenza perde materia, lascia briciole, fibre del proprio passaggio.
Non è uno spazio oggettivamente affidabile.
La prima volta che fecero l’amore se lo ricorda bene.
Quando le sue dita tremolanti si avvicinarono ai peli del suo pube incontrarono una laguna, sabbie mobili, fauci, meduse, humus. Non vide la vagina, era buio, faceva anche fresco, pioveva forse, e non riusciva ad immaginarsela così come lui la conosceva. Il suo sesso venne risucchiato dentro questa gelatina calda calda e lui si spaventò, credette di sciogliersi dentro quel corpo, tornare liquido amniotico o placenta e passare il resto della vita senza cazzo.
Per fortuna non successe, ma ci mancò poco, veramente.
Fu un rapporto breve, dieci secondi.
Ricorda quello che successe secondo dopo secondo, un record.
Non si godette nel senso che si intende generalmente, ma non provò in vita sua nulla di più spaventosamente eccitante. Si domandò poi tante cose riguardo quella prima volta, se per esempio avesse eiaculato senza accorgersene, ed anche se fosse accaduto veramente.
Per quei dieci secondi non usarano preservativo, perchè lui si accorse che l’unico che aveva era scaduto. Aveva passato un periodo di circa sette anni in astinenza volontaria e non aveva più comprato anticoncezionali, un bel risparmio. Fu quello, forse, il principale motivo perchè il rapporto sessuale durò così poco, oltre al fatto che di fianco a loro ci stavano persone che dormivano, o che facevan finta.
Un altro momento che rivivrebbe volentieri.
Gli basterebbe uno di quei dieci secondi. E lo farebbe diventare eterno.
Oggi gli orgasmi li si butta via dentro il bidone della spazzatura ma all’epoca, nulla andava sprecato, non si buttava niente. Un orgasmo gli rimaneva in testa per una settimana, l’emozione se la portava sui treni e influiva veramente sul suo umore e la sua voglia di stare in questo mondo.
Comunque, in ogni caso, si fece l’amore, senza preoccuparsi degli occhi indiscreti.
Capita le prime volte che lo si fa, di non preoccuparsi del luogo, e neanche dell’ora, e neanche del come, vien da sè. Lo si può fare su una panchina o su un tavolo di un bar, con le cicale che osservano e che danno il ritmo. Lo si può fare dentro un portone, per farsi beccare con le mani dove non dovrebbero stare. Sentire o credere di sentire la gente brontolare.
Ma il primo orgasmo lo ebbe a dieci anni circa, giocando a pallone nella squadra esordienti o dei pulcini, segnando quello che si poteva considerare il primo goal nella sua breve storia di calciatore.
Il calcio piace perchè tra gli sport è quello che più assomiglia ad un rapporto sessuale.
Goal se ne fanno pochi.
Non è come il basket che si fa canestro ogni minuto. Che ti viene assuefazione.
Quando la palla entrò in porta e gonfiò la rete, il suo cervello si spense. Per un ragazzino di dieci anni non c’é ancora molto da spegnere, questo è vero, in ogni caso, per un imprecisabile periodo di tempo il nulla prese il sopravvento.
Riesce ad immaginare gli occhi, lo sguardo, il panico incredulo, l’abbandono del corpo in una danza che il butoh gli fa una pippa.
Ricorda la follia, la corsa verso il niente, l’abbraccio dei compagni, la mancanza di odio, la perdita di consistenza materica.
Di quell’enorme episodio ricorda anche il rumore della palla a contatto con suo piedino – colpì di sinistro, non troppo coordinato – e ricorda la smorfia del portiere preoccupato, come può creare solo un ragazzino, ultimo baluardo della propria squadra e dei propri amici, sotto gli occhi di mamma e papà.
Finì 1 a 1.
Lei intanto, come si suol dire, lo tradì.
Andò a letto con un altro, gli fece le corna, dite come cazzo volete, non gli frega.
E lui ovviamente, che ancora la amava come il primo giorno, non la prese troppo bene anche se neanche troppo male.
Ma tutto era comprensibile, talmente comprensibile che non ci capiva nulla.
Anche questo è un orgasmo prolungato, uno stato alterato di coscienza.
Lui la capiva, di perdonarla non c’era ragione perchè non c’era colpa.
Era tutto chiaro e limpido come quando si vede la Corsica.
Era stato bello, non era stato volgare sesso ebbasta, era energia liberata, movimento orgonico, e, cosa ancora più importante ed anche preoccupante, di quelle storie che lasciano una traccia, come fanno le lumache, vischioso liquido che supera distanze e tempi, che calpesta altri amori, che si insinua nel midollo fino al coccige. Niente che si può fermare.
Aspettava la sua fine, la fine di qualcosa. Si sentiva inadeguato, vecchio, gli occhi gli facevan male, il cuore seppellito sotto un mare di cultura. A tratti stava bene, si considerava un privilegiato, ma sentiva anche di non poter tenere testa allo sbocciar di una passione.
Decise allora, ci volle un po’ però, di non resistere e si lasciò andare. Accettò tutto, smise di remare, a assecondò quella bufera, come uscire da una galera.
Non gli era ancora mai successo in questi termini e modi, un’esperienza nuova, grasso che cola in tempi come questi in cui tutto sembra statico e già fatto.
Non si sa perchè gli venne in mente uno dei momenti più elettrizzanti della sua infanzia, legato ad un evento che di solito spaventa: un terremoto.
Niente, per intenderci, di tanto distruttivo con morti e protezioni civili che ti salvano. Solamente momenti di panico a sentire che tutto diventa instabile e che la vita potrebbe finire, se va tutto bene. Lui aveva 5 o 6 anni e fu preso di peso, assieme a suo fratello, dal suo letto nella stanza dalle pareti in compensato, e portato in salvo dal padre carpentiere, che una casa che ha costruito lui non è mai crollata. Ma quella in cui abitavano non l’aveva costruita lui e quindi non si fidava. Lui e sua moglie lo portarono dagli zii, in campagna, tra mura amiche, una casa nuova, appena costruita, fatta col sudore della famiglia e della solidarietà, case della vita, da stare in piedi per figli nipoti e pronipoti, che un terremoto di quella intensità gli faceva un cazzo.
Quella notte dormì per terra su un materasso e una coperta, assieme a suo fratello e a suo cugino, mancava solo un cane. Stava bene, non prese subito sonno per assaporare quella sensazione nuova, un misto di eccitata ignoranza e ingenua gioia. Vedeva i grandi ancor più grandi, le pareti della casa spesse e protettive. Ma ancora di più lo affascinò l’agitazione dei parenti, la concitazione che portava in altri luoghi, altri odori, altri cibi.
Oggi vorrebbe sentire ancora quella sensazione, e come infatti non ha paura delle crisi e terremoti, solo cauto rispetto per momenti da prendere con le pinze, che portano cambiamenti che nulla deve tornare come prima. Perché se tutto tornasse come prima la crisi cosa arriva a fare? Energie sprecate che volano temporaneamente via e che non possono che ritornare sotto vesti ancor più grigie, nuove crisi, ancora più forti e distruttive. Quindi quando viene un terremoto meglio andare dagli zii e dormire scomodo per terra che restare dove ci si crede a casa per venire poi schiacciati come vermi, come fanno le processionarie quando attraversano la strada in fila indiana che solo una su cento poi si salva.
Sia chiaro, adesso di lavare i piatti tanta voglia non ne ha, sente dolori dappertutto, a volte vede il baratro, un precipizio, ma d’altra parte prende questa inconsistente smarrimento e l’assapora come può, perché sa riconoscere la vita vera, sincera, che non è una hall di un aereoporto, per dire.
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Questa è la storia di un tale che conobbi l’estate del 2008.
Erano svariati giorni che lo osservavo, era sdraiato sempre sullo stesso scoglio,a pancia in giù. Un pomeriggio spinto da una morbosa curiosità
decisi un approccio, volevo capire chi fosse e come fosse possibile che rimanesse sempre nella stessa posizione completamente immobile.
Dopo un paio di tentativi (arrivavo allo suo scoglio e tornavo indietro con delle fitte lancinanti allo stomaco) riuscii a sedermi a pochi centimetri da lui. La sensazione che provai non è spiegabile, era come se tutto fosse sospeso, erano spariti spazio e tempo, i rumori provenienti dalla battigia erano ovattati, a volte distorti ed il sole non scaldava. Di positivo c’era che le fitte allo stomaco erano sparite. Con una voce che quasi non riconoscevo gli chiesi come stava e se potevo fare qualcosa per lui. Non disse nulla ma spostò lo sguardo verso di me, i suoi occhi mi attraversarono ed ebbi la sensazione di svenire.
Presi il coraggio a due mani per restare e gli feci una battuta sulla sua costante posizione a “pancia in giù”, non ricordo bene, del tipo
“scommetto che ti chiami pino, su-pino alzati” o qualcosa del genere. Non rispose, ma ruotò su di un fianco e ricadde sul dorso che nonostante giorni e giorni di sole continuo era completamente bianco. Quello che vidi mi colpì come una testata sul naso. Aveva un enorme buco nello stomaco, potevo scorgere a fatica la profondità perchè tutto era nero lì, un largo cratere nella pancia di un uomo alla spiaggia.
“Cazzo!” esclamai.
Mi tese una mano e con voce rassicurante mi disse: “Ce l’ho da quindici giorni ma si stà richiudendo.
Devo rimanere nella posizione che mi hai trovato ancora per un pò di tempo e mi passerà.
La mia pancia ha bisogno di pietra dura e stabile. Va tutto bene, forse ci rivedremo a settembre.”
Rimasi in silenzio ed immobile per qualche minuto ancora, poi lentamente mi alzai e mi allontanai
completamente stordito. Le fitte allo stomaco tornarono e ad intermittenza continuano ad esserci.