di orto in orto cosa mi porto?

Una vita precaria non può che avere un orto precario.
In quindici anni di pseudo produzioni agricole, mi accingo al trasloco nel mio settimo orto. È un modo di essere coltivatori che si avvicina alla condizione di cacciatore raccoglitore e al nomadismo, nonostante che da quasi tredici anni non cambio casa. Troppo?
Variegate sono le motivazioni che mi hanno obbligato a girovagare da terra a terra, da fascia a fascia: tre volte si è incrinato il rapporto con il proprietario del terreno, due volte ho lasciato l’orto perchè ne ho trovato un altro più vicino casa, una volta mi hanno tolto l’acqua per invidia.
L’agricoltura ha bisogno di stanzialità e quindi da un punto di vista produttivistico questi traslochi non rendono, ma, ovviamente, ci sono anche aspetti positivi: sto conoscendo diverse tipologie di terreno e di piante selvatiche, di diversi microclimi, mi sto facendo una discreta esperienza di veloce costruttore di orti e sto conoscendo sempre più l’animo umano, compreso il mio.
Se guardo al mio passato di orticoltore direi che ne ho fatte parecchie di cazzate, romantiche cazzate.
Mi ricordo adesso mentre scrivo che una volta sistemai un orto in un posto stupendo, vicino ad un torrente in collina, lontano da tutto, facevo ogni volta una dozzina di km per andarci, dodici per andare e dodici per tornare, alla faccia dell’economia, una follia. Per fortuna la compagna del figlio della proprietaria, che aveva progetti per quel posto, infastidita dalla mia passionalità, mi fece capire che era meglio che le lasciassi campo libero.Bastò uno sguardo.Meglio così.
Forse chi più soffre di questa precarietà sono alcune piante che mi dispiace abbandonare al loro destino e che mi porto dietro in ogni trasloco: salvie, maggiorane, fiori. Alcune si lamentano perchè avevano trovato il loro habitat ideale, ma è anche probabile che a loro non freghi niente.
Gli alberi da frutto sono il più grande problema perchè non posso sdradicarli e portartermeli dietro.
Non so se invidiare chi ha una campagna propria da una vita e per una vita. Si, da una parte può fare cose che io me le sogno, ma dall’altra forse si annoia, a vedere sempre lo stesso panorama.
Ma esistono ancora agricoltori che lo fanno per tutta la vita? Spero di no, non credo si possa fare lo stesso lavoro per più di tre anni di fila, non credo che l’uomo(e la donna) siano fatti per la stanzialità, e meno che mai lavorativa. Fare lo stesso lavoro tutta la vita è veramente triste, una violenza alla propria intelligenza e alla propria creatività. Certo che anche cambiare spesso lavoro, alla fine è come se si continuasse a farne solo uno. E non si tratta di distinguere tra lavori di merda e lavori di cacca, me ne frego, qui si tratta della nostra voglia di vivere tutta l’esistenza che è accantonata. Quindi? E che ne so! Adesso sono contento di ricominciare con un altro orto (ogni volta penso che stavolta sarà finalmente un successo), ma anche un po’ triste di lasciarne un altro, ma sono più contento che triste.