Sabato scorso, ho messo in scena, per la seconda volta, il mio monocorpologo teatrale, titolato “Le scarpe di mio padre”.
L’ho messo in scena in uno spazio privato, tutto sommato piccolo(80/90 metri quadri) davanti a una quarantina di persone, in assoluta mancanza di regole imposte o consigliate.
Ognuno si comportava come meglio credeva: tenere il distanziamento o meno, tenere o meno la mascherina, fare cioè come sentiva meglio per sé e per gli altri.
Due quarti, cioè la metà degli intervenuti, mi è sembrato tutto sommato tranquillo, senza mascherina, e nessun problema in relazione al distanziamento, un quarto degli intervenuti mi è sembrato prudente, non aveva la mascherina, ma si muoveva con circospezione, invece il rimanente quarto era visibilmente preoccupato, con la mascherina e attentissimo al distanziamento, qualche persona non è voluta entrare e una persona ha chiesto di tenere la porta del locale aperta e si è tenuta sull’uscio.
Mi tocca fare alcune riflessioni riguardo come mi sono vissuto io la serata.
La prima cosa che ho sentito è che la mia teatralità, diciamo così per capirci, è stata, ovviamente, influenzata dal clima e dalla tensione che ammorbava l’aria. Mi sono sentito poco rilassato e la fluidità del mio agire ne ha risentito, ho avuto diversi blocchi nella memoria del testo e nelle parti danzate e corporee mi sono sentito poco presente.
Fortunatamente, durante il mio pezzo, le mascherine tra il pubblico, quello che potevo vedere io, erano poche. Mi chiedo come avrei reagito se le mascherine fossero state numerose, probabilmente mi sarei fermato, ma non sono sicuro.
Assolutamente non voglio giudicare chi ha paura, chi è fortemente preoccupato, chi sostanzialmente crede a quello che ci viene raccontato e come ci viene raccontato, ma una cosa sento di volerla dire, alla luce di quello che ho visto e vissuto: perchè chi ha paura non se ne sta a casa?
Con tutto il rispetto immaginabile, se credete di rischiare il contagio o rischiare di contagiare gli altri, perchè dovete portare la vostra energia negativa in una situazione che vi mette a disagio? Perchè scaricare sugli altri la vostra paura? Perchè decidete di stare in un luogo in tensione e preoccupati per poi portarvi a casa i vostri dubbi e le vostre paranoie, con le quali vi toccherà di fare i conti anche nei giorni a seguire?
Le risposte ovviamente credo, in parte, di averle, per esempio che chi ha paura ha bisogno anche lui/lei di socialità, di vedere persone, di stare in contatto con gli amici in situazioni creative e tutto il resto, ma, cazzo, una cosa potenzialmente piacevole, fatta con la paura, più che piacere non può che portare dispiacere, malessere, tanto vale non farla e lasciare liberi gli altri, o no? Oppure, visto che con la paura ci dovete fare i conti, perchè non cercate di andare alla sua radice per provare a sradicarla? O se non sradicarla, almeno impedirgli di possedervi?
Ma, detto con tutto il cuore, non sarebbe stato meglio starsene a casa?
Ottobre 5th, 2020 | Virus