Incontrare Alec Mackaye

Stamattina scendendo a piedi da Bellissimi a Dolcedo per il sentiero che passa sotto casa che ci metto 15 minuti per arrivare in piazza, vicino il bivio per Borgata Boeri, proprio all’altezza di una delle mille campagne di Battista, incontro Alec Mackaye.
Alec Mackaye è il fratello poco conosciuto di Ian Thomas Garner Mackaye e, per questo, ho fatto fatica a riconoscerlo, anche perché l’ultima volta che l’ho visto eravamo nell’altro secolo.
Quell’aria sofferente e quello sguardo da fratello poco conosciuto non mi era nuova, ma non riuscivo ad identificarlo. Non sono fisionomista. Anche ricordare i nomi e i cognomi non è il mio forte. Chissà per quale imperscrutabile motivo dimentico facilmente i nomi e i cognomi. Mistero.
Ci siamo salutati guardandoci negli occhi, come ci si saluta tra sconosciuti che vogliono essere lasciati in pace per concentrarci sul proprio niente.
Pochi passi però, perché mi sorge un dubbio. Mi giro, mi rigiro e provo a chiamarlo: “Alec” – dico a voce poco più alta del normale, tra il punto esclamativo e il punto di domanda.
Lui si gira con quell’aria sofferente e leggermente persa.
Era proprio lui Alec Mackaye, fratello poco conosciuto di Ian Thomas Garner Mackaye.
Gli dico che lo avevo visto nello scorso secolo, nel 1989, di fine ottobre.
E che già nel 1989 mi sembrava tormentato.
Dice che stava salendo verso non sapeva dove, che da due giorni stava a Diano Serreta, ospite di un tipo con 12 gatti e la cucina piena di merda di gatto, che non si riusciva a starci dentro per la puzza, che il suo amico era un vecchio punk che non voleva sentir ragioni.
Alec dice che ha un gruzzoletto in dollari da parte e che vorrebbe cercarsi, senza fretta, una casa in alta Val Prino.
“Vieni a Bellissimi!” – gli dico io – “E’ un posto tranquillo, dove la sofferenza si scioglie, con un po’ di pazienza.”
Era una mezza verità, perché, a dirla tutta, in inverno sciogliere la sofferenza non era facile neppure lì.
E così ho deciso di tornare sui miei passi per accompagnarlo un pezzo – la bolletta della luce l’avrei pagata un altro giorno – per raccontargli in che occasione lo avevo visto nel 1989, per spiegargli di come si sbattono gli ulivi, di quanto rende una quarta a novembre e che quest’anno il costo del frantoio è aumentato a 25 centesimi al chilo di olive e che sono centesimi di euro e non di dollaro.
Alla fine siamo stati insieme tre ore esatte, a chiacchierare anche di gatti che cagano in cucina e di cavalli che stanno allo stato brado sotto il Faudo. Tra sofferenti ci si capisce.
Gli ho fatto vedere anche una casa che vogliono vendere proprio vicino dove abito io. Non si sa mai.
Sarebbe bello se Alec Mackaye venisse ad abitare vicino a me.