Vita in yurta

Caro Enrico,
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L’inverno in yurta non è stato facile, tanta pioggia, fango, mi hanno seriamente messo alla prova.
Devo dire che la yurta si è dimostrata più forte di me, ma entrambi abbiamo resistito e adesso si va verso un periodo in cui tutto sará più semplice e godibile.
Gli agenti atmosferici influiscono, nel bene o nel male, molto di più sul mio umore e sul mio corpo, questa è una cosa ovvia, ma che non avevo previsto in questi termini: il vento, l’acqua, i rumori della natura, del fiume, l’energia della luna e del sole e delle stelle, la temperatura, l’umidità, tutto è molto piú percepibile, nonostante poi non stia vivendo così lontano dal paese, nonostante abbia l’elettricità, l’acqua(fredda), una connessione internet tramite chiavetta e anche un’auto. Non ho lavatrice, lavo tutto a mano, devo scaldarmi l’acqua per lavarmi, devo andare a prendere l’acqua da bere ad una sorgente vicina, mi scaldo con una stufetta a legna, faccio la pipì in giro e la cacca dentro un gabinetto di legno, un gabinetto a secco, non uso carta igienica, ma acqua per pulirmi.
Ho anche un gatto, Shaky, mezzo selvatico, che è arrivato da solo, affamato, ed è restato. Sono contento che si sia fermato. Un mese fa circa durante la notte mi sono sentito sfiorare i capelli, mi sono svegliato e ho scoperto che era stato un topolino. Se ne stava in fondo al letto che mi guardava stupito, non voleva andarsene, forse stava solo cercando di capire cosa io stessi facendo in quel posto.
Devo anche dire che in questa mia nuova situazione mentale sento come se si fosse risvegliato anche il mio lato poetico. Mi sento un po’ di più distaccato, un po’ di più dentro di me. Sto molto tempo da solo. Mi osservo.
La mattina, le prime ore della mattina sono le più proficue, e prima di alzarmi, quando sono ancora a letto, dedico molta attenzione ad osservare miei pensieri, è il momento in cui ho le idee migliori, ma anche i pensieri più negativi.
A Febbraio ho avuto una crisi di nervi.
La pioggia insistente, il rumore dentro la yurta, la febbre, un forte mal di testa, pensieri nefasti, ho perso il controllo per un’ora. Ho dovuto chiamare un’amica per potermi sfogare. Ho pianto, ho urlato, angoscia.
La civiltà in cui viviamo ce la portiamo dentro e dobbiamo farci i conti. È qualcosa che abbiamo nel profondo. Sento come se vivessimo con addosso un fardello enorme di sofferenza, che abbiamo ereditato da secoli e secoli di vita sbagliata. Abbiamo tutto dentro, la sofferenza delle donne e degli uomini, degli animali e di tutti gli esseri viventi, un’accumulazione di dolore che fa parte di noi.
A questo aggiungi le esperienze negative e i traumi che subiamo dal momento del parto, dall’educazione, dalla scuola, dal mondo del lavoro, i rapporti malati tra le persone, il tutto diventa tanto, troppo. Razionalmente direi che non c’é niente da fare, ma sento che comunque ciò che potrebbe rendere la vita degna di essere vissuta, l’unico passaggio che sono sicuro si debba fare, sia quello della consapevolezza e del “restare”, non scappare, lucidi.
In tutti questi mesi inoltre, mi sono poi confrontato con i miei pensieri: da dove nascono, perchè arrivano, cosa rappresentano. Ne riparleremo.
Sembra che non mi succeda niente, ma invece succedono tantissime cose.
Mi sembra di non far niente, ma faccio tantissimo.