parlare d’amore su autistici

Mi trovo a dover soffocare un amore enorme verso una persona.
Dove devo mettere questa energia?
È la prima volta che mi succede di dover mettere sotto controllo, reprimere, una energia cosí grande e forte che se sta li, dentro e attorno a me, che tocco, consolo, rassicuro, annaffio di lacrime.
Mi dicono di trasformarla in qualcos’altro, profonda amicizia, per esempio. Significa portarla da un chakra ad un altro?
Insieme all’amore sento tutto il vuoto di una relazione finita, che mi manca.
Mi dicono che bisogna lavorare sull’attaccamento, che vuol dire che non bisogna attaccarsi ad un persona, ma che bisogna lasciarla libera. Lo so che dovremmo evitare di dipendere da un’altra persona, che non ci appartiene, lo so cazzo, LO SO!.
Ma io, io posso appartenermi, o deve staccarmi anche da me stesso? Dei miei bisogni cosa ne faccio? Conta qualcosa quello che voglio? Mi sembrano tutte parole, solo parole. Ho l’impressione che alla fine l’unica cosa che bisogna imparare a fare è gestire la sofferenza. Gestire il dolore. Che non è una cazzata, mi sembra ci voglia una vita.
Ho imparato in parte a spostare le energie del mio corpo, i pesi, da una parte all’altra, da una gamba all’altra, fargli attraversare tutto il corpo, per trovare un equilibrio ad esempio, o per resistere maggiormente in una posizione. Mi chiedo se anche con l’energia dell’amore si può fare altrettanto.
Forse si, ma prima devo capire dove abita: nella testa? nel cuore? nella pancia? nel sesso? o dapertutto. Io credo che se ne stia rintanata in ogni parte di me, e allora forse la soluzione è portarsela sempre dietro, fargli fare quello che vuole, stringere amicizia. E mostrarla.
Perchè trasformarla o farla morire?
Io me la voglio tenere.
L’amore non è il problema.

meno affanno, anche se piove

Non riesco a scrivere, cioè non riesco a scrivere qualcosa che valga più di 10 ore. Tutto quello che scrivo, che mi racconto, il giorno dopo non ha più senso. Non so…come se le mie opinioni, il mio punto di vista, la mia realtà mutasse continuamente. Lo so che tutto si trasforma e che tutto cambia, ma mai come in questo momento questo concetto mi è evidente. Forse è sempre stato così, ma solo adesso ci faccio caso. Ovvio che questa precarietà del reale porta delle conseguenze: prendo con le molle tutto quello che dico, penso e faccio; ho la tendenza a dover verificare giorno per giorno le mie azioni; se mi pongo degli obiettivi a lungo termine non mi faccio influenzare dai miei umori che cambiano; sono certo che anche quello che sto scrivendo adesso, domani non lo scriverei; ogni momento ha la sua propria peculiarità; non dico nessuna mia verità che non sia legata al mio momento: non ci sono solo 6 miliardi di verità, ci sono anche infinite verità del momento; non sono fermo, ma in movimento; tendo a vivere sempre di più il presente.
Varie ed eventuali.

piove affanno

E così, pensi che io abbia un approccio sbagliato alla vita, che vivo nella sofferenza, che sono chiuso al mondo, che quindi sono io che voglio isolarmi, che mi emargino. Insomma sto sbagliando atteggiamento.
Ho cattive letture, cattive amicizie, cattive ideologie?
Ho sbagliato strada?
Se penso alle scelte che ho fatto nella mia vita, le vedo sempre motivate da un desiderio di benessere e libertà. Se sono venuto a stare dove stò, per esempio, è perchè volevo evitare di entrare nel mondo del lavoro, perchè di solito il lavoro fa stare male ed è politicamente inaccettabile, essere sfruttati, o autosfruttarsi. Nel mondo del lavoro ci sono stato per un decennio ma poi ho sentito che dovevo fare qualcosa, che dovevo smettere.
Mi sono illuso di fare scelte che potessero ridurre il rischio di ammalarmi, evitare di sfruttare gli altri, cercare un po’ di contatto con quello che è naturale, cercare di arrivare alla vecchiaia con le mie gambe, senza dover essere assistito.
Ma naturalmente ho fatto degli errori e ho dovuto confrontarmi con quello che sono, con le mie paure e i miei limiti. E a volte ho sbagliato nelle relazioni con le persone, con le quali ho spesso dovuto dare delle spiegazioni. Ho vissuto sulla difensiva, perchè tutto in questa società deve andare in una certa maniera e chi non segue la linea deve far i conti con il giudizio e il pregiudizio.
Ho fatto fatica, a modo mio mi sono scontrato e inevitabilemente sto perdendo: politicamente sono un perdente, economicamente sono un perdente, nei rapporti sociali sono uno difficile, e ora anche sentimentalmente sono sconfitto, non ci stai più dentro e sono abbandonato.
In questo momento sento d’essere arrivato alla fine di un percorso, che anno dopo anno si è fatto sempre più stretto. Prima che si chiuda definitiviamente è meglio che mi dia una mossa.

buco fisso

Oggi mi sono svegliato pensando che, in questo momento, un bel lavoro fisso mi farebbe proprio comodo.
Alzarsi con degli orari prestabiliti, una mansione che ti occupa la testa, tanti colleghi con cui scambiare quattro chiacchiere, una pausa per mangiare assieme ad altri, e poi riprendere nel pomeriggio, anche senza nessuna voglia, anche facendosi un poco di nervoso e di stress.
In momenti di difficoltà, invidio chi un lavoro o addirittura un posto fisso ce l’ha e lo può usare come psicofarmaco, sana alienazione che ti porta via da brutti pensieri, che fa passare del tempo, che distoglie dalla propria crisi, che ti allontana da te stesso.
È per questo, forse, che il lavoro, e il posto fisso in particolare, è così desiderato: perchè ci porta via dai nostri turbamenti, perchè rimanda il problema, che non sparisce, certo, rimane lì ad aspettarci, ma almeno non lo vediamo.
Invece sono qui. A guardarlo.
A guardare le pareti dei miei schemi, che devo superare.
Faccio fatica, forse non c’è niente da fare, ci provo.