citazione 1 – rimanere a bocca aperta

“La maniera normale di sviluppare un nuovo metodo è domandarsi: ‘E se si provasse a fare questo?’ o ‘e se si provasse a fare quest’altro?’, introducendo diverse tecniche una sull’altra. Questa è agricoltura moderna e si risolve solo nel rendere più occupato il coltivatore.
Io facevo il contrario. Cercavo un modo simpatico, naturale di coltivare che si risolvesse nel rendere il lavoro più facile invece che più duro. ‘E se si provasse a non fare questo? E se si provasse a non fare quest’altro?’: era questa la mia maniera di pensare. Alla fine arrivai alla conclusione che non c’era bisogno di arare, alcun bisogno di dare i fertilizzanti, alcun bisogno di fare il composto, alcun bisogno di usare insetticidi.
A ben pensare sono poche le pratiche agricole veramente necessarie.”

Masanobu Fukuoka, La rivoluzione del filo di paglia, Libreria Editrice Fiorentina, 1980, pag.39.

fuck pension

Stavo pensando che io la pensione non ce l’avrò.
Non so se mi daranno una pensione sociale.
Non so se, a prescindere, mi spetterá qualche elemosina dallo Stato.
Spero di no.
In ogni caso, se mai sarò costretto a chiederla, o saranno costretti a darmela, sarà una pensione ridicola.
Quindi, visto che da vecchio dovrò continuare a fare la vita che faccio adesso, cioè dovrò occuparmi del mio sostentamento fino alla fine dei miei giorni, ne conviene che posso tranquillamente, già da oggi, considerarmi un pensionato, cioè un pensionato senza pensione.
Interessante.
Quando lavoravo in Ferrovia(con la “f” maiuscola) mi ricordo che qualcuno mi raccontò di un collega, morto, forse di infarto, il giorno dopo essere andato in pensione, ma a parte questo caso limite, ho visto moltissimi ex-colleghi posticipare più possibile il giorno del loro pensionamento per il timore di non sapere come affrontare la nuova vita, per la paura di non reggere psicologicamente al cambiamento, per il terrore di sentirsi inutili, per la paranoia di non saper come occupare il proprio tempo.
Questi problemi non dovrei averceli perchè non sto aspettando il giorno in cui smetterò di lavorare, non sto aspettando l’agognato riposo, non sto aspettando nulla, insomma, continuerò a vivere fino al giorno in cui morirò.

beato beota

Un desiderio strano a volte mi balena nella testa:
mi piacerebbe alzarmi una mattina ed essere felice.
Svegliarmi di buon umore, fare una colazione abbondante e poi andare in giro contento di esserci, gentile con tutti.
“Buongiorno signora Teresa, dormito bene questa notte?”.
Tutti si accorgono del mio stato d’animo perchè riesco a trovare battutine simpatiche per ognuno, sorridere alla cassiera della Coop, fare un salutino al bambino nella carrozzina e anche una smorfia dispettosa, colloquiare serenamente con i clienti delle Poste in attesa del mio turno (P056), fare conversazione con disinvoltura, avere la battuta sempre pronta, la parola giusta al momento giusto, essere insomma un tipo non solo più socievole, ma quasi ebete.
Mi piacerebbe dare sempre con naturalezza i bacetti sulle guance quando incontro qualcuno che conosco e dirgli “Va tutto benissimo, e tu?”, ma non perchè fa pensiero positivo, ma proprio perchè lo penso davvero.
Dire prontamente “Saaalute!” ad uno sconosciuto che starnuta per la strada e, dopo che lui risponde sicuramente “Salute che se ne va!”, io prontissimo con “Speriamo di no”.

di orto in orto cosa mi porto?

Una vita precaria non può che avere un orto precario.
In quindici anni di pseudo produzioni agricole, mi accingo al trasloco nel mio settimo orto. È un modo di essere coltivatori che si avvicina alla condizione di cacciatore raccoglitore e al nomadismo, nonostante che da quasi tredici anni non cambio casa. Troppo?
Variegate sono le motivazioni che mi hanno obbligato a girovagare da terra a terra, da fascia a fascia: tre volte si è incrinato il rapporto con il proprietario del terreno, due volte ho lasciato l’orto perchè ne ho trovato un altro più vicino casa, una volta mi hanno tolto l’acqua per invidia.
L’agricoltura ha bisogno di stanzialità e quindi da un punto di vista produttivistico questi traslochi non rendono, ma, ovviamente, ci sono anche aspetti positivi: sto conoscendo diverse tipologie di terreno e di piante selvatiche, di diversi microclimi, mi sto facendo una discreta esperienza di veloce costruttore di orti e sto conoscendo sempre più l’animo umano, compreso il mio.
Se guardo al mio passato di orticoltore direi che ne ho fatte parecchie di cazzate, romantiche cazzate.
Mi ricordo adesso mentre scrivo che una volta sistemai un orto in un posto stupendo, vicino ad un torrente in collina, lontano da tutto, facevo ogni volta una dozzina di km per andarci, dodici per andare e dodici per tornare, alla faccia dell’economia, una follia. Per fortuna la compagna del figlio della proprietaria, che aveva progetti per quel posto, infastidita dalla mia passionalità, mi fece capire che era meglio che le lasciassi campo libero.Bastò uno sguardo.Meglio così.
Forse chi più soffre di questa precarietà sono alcune piante che mi dispiace abbandonare al loro destino e che mi porto dietro in ogni trasloco: salvie, maggiorane, fiori. Alcune si lamentano perchè avevano trovato il loro habitat ideale, ma è anche probabile che a loro non freghi niente.
Gli alberi da frutto sono il più grande problema perchè non posso sdradicarli e portartermeli dietro.
Non so se invidiare chi ha una campagna propria da una vita e per una vita. Si, da una parte può fare cose che io me le sogno, ma dall’altra forse si annoia, a vedere sempre lo stesso panorama.
Ma esistono ancora agricoltori che lo fanno per tutta la vita? Spero di no, non credo si possa fare lo stesso lavoro per più di tre anni di fila, non credo che l’uomo(e la donna) siano fatti per la stanzialità, e meno che mai lavorativa. Fare lo stesso lavoro tutta la vita è veramente triste, una violenza alla propria intelligenza e alla propria creatività. Certo che anche cambiare spesso lavoro, alla fine è come se si continuasse a farne solo uno. E non si tratta di distinguere tra lavori di merda e lavori di cacca, me ne frego, qui si tratta della nostra voglia di vivere tutta l’esistenza che è accantonata. Quindi? E che ne so! Adesso sono contento di ricominciare con un altro orto (ogni volta penso che stavolta sarà finalmente un successo), ma anche un po’ triste di lasciarne un altro, ma sono più contento che triste.