Sette anni fa partecipai ad un laboratorio di Butô condotto da un certo Ryuzo, Ryuzo Fukuhara.
Non eravamo in Italia, ma in Repubblica Ceca, a Tabór, vicino Praga, presso il CESTA, il centro/comunità culturale gestito, tra gli altri, dai Sabot. Un posto che vi consiglio di visitare.
Fu un laboratorio che durò tutto il mese di Agosto, un’esperienza indimenticabile.
Ero l’unico iscritto.
A distanza di sette anni, nei primi giorni di Gennaio, ho rincontrato Ryuzo. Adesso abita in un paesino ad una ventina di km da Lijubljana in Slovenia. Sono andato a trovarlo e l’ho anche intervistato.
In questa intervista parla della sua formazione, del Butô e anche di quel laboratorio, che anche per lui fu importante, lo so.
La quadratura di un altro cerchio.
Parlaci della tua formazione, della tua storia come danzatore.
Quando ho cominciato a fare performance, nel mondo dell’arte questo modo di esprimersi era di gran moda, eravamo nella metà/fine degli anni ’80.
Ero completamente influenzato dall’art-performing, per esempio quella di Laurie Anderson, e quindi ho cominciato anche io.
Ho creato istallazioni per la meditazione che esponevo nell’università in cui studiavo, accompagnate da miei finti movimenti meditativi. Non so perchè, ma alla gente piaceva.
Venne in universitá il presidente del gruppo Sankai Yuko, Semi-maru, che volle danzare con gli studenti. Fece una sorta di workshop gratuito al quale io partecipai. Avevo il viso dipinto di bianco, un piccolo pezzo di stoffa che copriva il pene, testa rasata, e ho provato a imitare i suoi movimenti, mi sentivo già un danzatore Butoh.
Lei mi invitò a partecipare ad un vero e proprio laboratorio di dieci giorni della sua Compagnia, durante il quale non mangiammo altro che "risotto"(in italiano nell’originale), solo risotto con verdure, ogni giorno. Correvamo ogni giorno per almeno tre km e poi sette ore di danza. Fu molto impegnativo, ma io ero così orgoglioso di essere stato scelto, credevo d’essere già un buon danzatore. Tornai nella città in cui vivevo, Nagoja, dove incontrai un mio professore che, saputo della mia esperenza di Butoh dance, mi chiese di mostrare quello che avevo fatto e mi invitò ad esibirmi in università. Questa fu la mia prima esperienza di "solo dance" davanti ad un pubblico.
Quindi per una settimana, tutti i giorni, presentai uno spettacolo per il quale costruii uno spazio rituale, fatto di bambù. Io stavo appeso al soffitto e quindi mi sedevo in un grosso piatto di cemento che avevo costruito. Alcune centinaia di persone vennero a vedermi e il mio naso diventò molto lungo, come Pinocchio (In Giappone il naso si allunga non quando si dicono delle bugie, ma quando ci i sente orgogliosi e contenti di quello che si fa).
Successe che un tizio(Mr. Amajima), una specie di danzatore famoso a Nagoja, dieci anni più vecchio di me, io avevo 21 anni, mi chiese di partecipare ad un suo progetto che avrebbe coinvolto, oltre me, altre due persone: dovevamo presentare uno spettacolo alla settimana per un intero anno solare. Non era una performance di gruppo ma erano "solo performances". A rotazione, uno di noi tre si esibiva, e gli altri due si occupavano della parte tecnica: scenografia, luci, suoni.
Questo significava che ogni tre settimane io dovevo presentare una performance e che, comunque, ogni settimana ero impegnato come tecnico. Mr. Amajina si occupava di pagare l’affitto del teatro e di tutto il resto.
Ora, tu potresti pensare che tre settimane di tempo siano sufficienti per preparare una nuova performance, ma ti assicuro che non è così. Dopo qualche settimana le idee finiscono, "zero ideas", non sapevo più cosa fare; ma il contratto prevedeva comunque una mia esibizione, dovevo lo stesso presentarmi in pubblico. E quindi cominciai a "fare niente davanti al pubblico", stavo immobile o quasi per tutto il tempo, anche un’ora. Un’ora a fare nulla!
Il pubblico, il direttore del teatro, ma anche i miei stessi collaboratori, cominciarono a chiedersi e a chiedermi che razza di stupide esibizioni fossero quelle, mi attaccarono.
Ogni tre settimane la stessa storia si ripetè per tutto il resto dell’anno.
Ma nel frattempo, finalmente decisi che non dovevo più domandarmi quale movimento dovessi fare, o che cosa fosse quello che stavo facendo, ma che avrei dovuto, invece, cercare la risposta ad una domanda più importante e cioè: "Cos’è la danza per me?”.
Iniziai a sperimentare una sorta di iperventilazione in scena, un’ora di respirazione accellerata.
Qualcuno ti consigliò l’iperventilazione?
No, era una mia idea, sentivo che poteva servirmi nella mia ricerca.
Se continui l’iperventilazione per un lungo periodo, tu perdi totalmente la coscienza, perdi il senso del corpo.
La reazione del pubblico comunque fu sempre la stessa, ma io dicevo “Questa non è danza….questa è una reazione fisica”…
Cominciai a concentrami in scena sulla mia respirazione: provai a controllare il mio respiro, a definire la lunghezza temporale di ogni respiro. E quindi decisi di esercitarmi ogni giorno, studiare la relazione respirazione-corpo-mente, fare esercizi di consapevolezza corporea, alla ricerca della danza del mio corpo, non di quella intenzionale.
Per esempio mi sdraiavo a terra e cominciavo a prendere coscienza delle dita dei piedi, poi della caviglia, del polpaccio, del ginocchio, risalivo lungo il corpo cercando di continuare a tenere la consapevolezza di tutte le parti, contemporaneamente.
Le reazioni del pubblico continuarono ad essere negative, ma comunque io le apprezzai molto, perchè mi stimolarono tantissimo. Per esempio, cominciai a chiedermi come accettare le critiche, anche severe, e come usarle.
Quindi iniziai anche a studiare la Retorica.
Un tizio mi disse che se tu leggi un libro dall’inizio alla fine, in modo totale, profondo, con la semplice lettura di questo libro, che può essere un romanzo o un saggio, non importa, tu puoi comprendere tutto il mondo. Tu puoi affrontare qualunque discussione usando solo il senso, le frasi di quel libro. Ma questo è un argomento completamente differente.
Un giorno di quell’anno, vidi, in un teatro, la performance di Min Tanaka.
Fu una performance molto bella.
Decisi di voler diventare un danzatore.
Ho cominciato a frequentare la fattoria di Min Tanaka come lavoratore volontario, quindi ho partecipato ad un suo laboratorio lungo un mese senza pagare, veramente non era proprio gratis, avrei dovuto dargli qualcosa, ma me ne sono dimenticato(Ride). Chiesi quindi a Min Tanaka di entrare a far parte della sua compagnia.
Lui accettò e cominciai a danzare con lui.
Dopo circa un anno e mezzo, però, compresi che danzare sotto la direzione di altri non era esattamente quello che desideravo e quindi lasciai il gruppo per intraprendere un percorso da solo.
Tornai a Nagoja, iniziai a frequentare il parco cittadino che era pieno di senza-tetto.Era un pubblico perfetto. Per tre mesi, ogni giorno, da mezzogiorno all’una, danzai davanti gli homeless della città, 100 giorni, 100 performances. Qualche giorno me ne stavo un’ora con le braccia aperte a guardare il cielo.
Poi partii per un lungo tour del Giappone, in modo auto-organizzato: ogni giorno aprivo la mappa, sceglievo un luogo e mi esibivo, solitamente in strada, ma anche nei parchi, tre volte al giorno. Feci performances in 182 differenti luoghi.
Chiedevi soldi per la strada?
No. Avevo messo da parte qualche risparmio, circa 500 euro. Chiesi ad un ragazzo di accompagnarmi perchè avevo bisogno di qualcuno che filmasse tutte le performances.
Dopo questa esperienza smisi di danzare per due anni perchè trovai una compagna, non potevo danzare in quel periodo(Ride).
Dopo due anni ho sentito di dover nuovamente riprendere a danzare. Chiesi ad alcuni amici, persone che non avevano mai danzato, anche un ragazzo punk molto grasso(120 Kg), persone prese dalla strada, di partecipare alla realizzazione di uno spettacolo. Ho coreografato i loro movimenti, ho filmato e ho spedito il video a Parigi con la domanda di partecipazione ad un festival di danza.
Portai questo strano gruppo a Tokio, Jokohama city e riuscii a presentare il nostro spettacolo in un vero teatro.
Cosa facevi tu durante questo spettacolo?
Io solamente correvo di qua e di là ansimando(Ride).Mettevo la mia compagna in una scatola aperta da un lato di modo che il pubblico potesse vederci dentro e la appendevo al soffitto, e lei…. (mima i suoi movimenti). Un’altra ragazza, che aveva delle bende sul viso, cantava l’"Ave Maria". Non avevo un tecnico luci e quindi chiesi ad un amico di venire con noi, d’altronde il suo compito era facile: accendere e spegnere tutte le luci della scena.
Quale fu la reazione del pubblico?
Non piacque per nulla, facevamo cose completamente folli, e i critici ci dissero che quella non era danza. Un amico, però, che era già stato in Europa e a danzare in una compagnia di danza contemporanea a New York, mi disse che quello che noi facevamo si poteva considerare assolutamente danza contemporanea, che i giapponesi non potevano ancora capirla e che per trovare delle soddisfazioni avrei dovuto trasferirmi in Europa. E così feci.
E’ il periodo di Alchemic Sister?
Alchemic Sister è il nome di una compagnia che in pratica non esisteva (Ride). Mi serviva un nome per poter compilare la domanda di partecipazione al festival di cui parlavo prima.
Il primo posto in cui andai fu in Russia, poi andai in Repubblica Ceca, quindi a Parigi per poi tornare in Repubblica Ceca e stabilirmi nel centro culturale dove ci siamo conosciuti(CESTA).
Adesso sono qui, vicino a Ljubliana in Slovenia.
Parlaci di "Dialogue", la sequenza di esercizi di stretching che hai creato tu: perchè si chiama così?
Ho avuto spesso problemi di schiena, ernia del disco. L’ultima volta che mi successe rimasi completamente fermo per più di un mese, ma volevo continuare a danzare, e quindi mi chiesi se fosse possibile educare, esercitare il corpo per evitare questo tipo di problemi.
Ho parlato col mio chiropratico che mi suggerì alcuni movimenti che mi potevano aiutare. Capii che, di base, bisognava ridurre la pressione sulle vertebre e nonostante avessi forti dolori decisi di fare esercizio. Ma quando hai dolore, per capire quale movimento è giusto e quale no, devi realmente ascoltare il corpo, parlare con il tuo corpo, un vero e proprio dialogo.
"Ehi schiena, va bene cosí?"
Ovviamente lo si fa in silenzio, cercando i punti limite.
Ascoltavo il corpo per sapere come dovevo muovermi.
Ho comunicato col mio corpo per tre mesi, tutti i giorni, per arrivare a scegliere un certo numeri di posizioni: è stato il corpo a dirmi quali fossero i movimenti giusti.
Il tuo corpo ti ha suggerito "Dialogue".
Certo, ed è un vero e proprio dialogo. In seguito ho messo tutti i movimenti in una giusta sequenza, perchè potessero essere eseguiti con una concatenazione logica.
Ma vorrei dire qualcosa riguardo allo stretching, all’obiettivo che lo stretching si pone. C’è un grosso malinteso. Molta gente crede che se si fa un buon stretching o una buona ginnastica, si possa danzare meglio. Questo non è vero.
La danza non ha relazione con lo stretching, anche se non fai stretching o ginnastica puoi lo stesso danzare. No problem.
Se tu hai forti immaginazioni, concentrazione, buona energia, puoi danzare.
Quindi la domanda è "Perchè hai bisogno dello stretching?"
Dipende dai tuoi desideri. Se per esempio voglio muovere il corpo in una direzione in una maniera più profonda, ma sento di non riuscirci, allora cerco di allungarlo in questa parte, tutti i giorni. Lo stretching è il miglior modo per parlare col tuo corpo, per conoscerlo. Naturalmente puoi parlare col tuo corpo anche facendo Bisoku.
Quindi si può danzare, puoi danzare, sei già pronto per danzare, senza bisogno di training.
Ma se fai stretching, se fai yoga, dai al tuo corpo più opportunità di movimento.
Si, ma muovere il corpo non è così importante, per ballare non è importante muoversi.
Di base, se tu immagini qualcosa, probabilmente tu puoi giá danzare. Immaginare è danzare.
Quanto è cambiata, se è cambiata, la tua danza, da sette anni fa, dal periodo del laboratorio al CESTA?
Uhm, non ho mai realmente pensato a questo.
Certamente quel laboratorio, quell’opportunità cambiò la mia danza. Durante un laboratorio devo spiegare, devo creare il mio metodo, questa esperienza cambiò la mia danza, certo.
Il workshop mi ha dato la possibilità di portare la mia soggettiva esperienza in un’esperienza oggettiva. Tirarla fuori e mostrarla. "Guarda qui!Questa è la mia danza". Durante un mese di lavoro mi pongo tante domande, su quello che devo fare, trovare il modo migliore per andare avanti. E se poi spiego qualcosa a te è come se lo spiegassi anche a me stesso. Non posso dirti quello in cui non credo.
Prima del laboratorio avevo una certezza riguardo alla mia danza, cioè pensavo che quella fosse la mia danza, ma confrontandomi con altre persone, Matthieu, Helga, tu, Alex, ho riconosciuto altri modi di danzare, ovvio, delle buone presenze, quindi mi avete aiutato ad aprirmi ad altri modi di esprimermi con la danza. Per esempio la tua performance, quella in cui mangiavi la zuppa davanti al pubblico e basta…nonostante tu non facessi niente, mi sono detto che quella era danza. Accorgermi che la gente aveva piacere a vedere te che mangiavi la zuppa…
Per me fu veramente molto importante sperimentare, usare quel workshop per sperimentare quello che avevo in testa, riguardo la danza e anche il teatro.
Ho capito, durante quel laboratorio, che danza è presenza. Come sei, questo è l’inizio della danza.
Probabilmente tu mi suggeristi quest’idea. Avevi, a quel tempo, una presenza molto forte, molto buona, non so adesso(ridiamo).
Capii che se si ha una forte, interessante presenza, non si devono fare grandi cose.
Quando Ohno danzava, specialmente quando era vecchio, era solo presenza. Poteva tenere l’attenzione del pubblico per un’ora facendo apparentemente poco o niente.
Oggi anche la danza contemporanea può accettare questo concetto, ha la capacità di accettare questo tipo di danza.
Molti adesso potrebbero affermare che quel tuo mangiare la zuppa sul palco fosse danza contemporanea.
Si dice che il teatro non è realtá, ma si dice anche che il teatro è vita. Io volevo ridurre, se non eliminare, la distanza tra la vita, la realtà e il teatro e la danza. Volevo fare un piccolo esperimento in questo senso.
Il punto è questo: c’è il mondo reale e c’è un mondo vero.
Mettiamo che io in questo momento stia immaginando, stia vedendo di fianco a te, una presenza.
Questa è la mia verità, anche se oggettivamente questa presenza non è reale perchè la posso vedere solo io. Per me questa presenza irreale è la mia verità.
Io tengo conto del fatto che nessuno, oltre me, può vedere questa presenza, ma questo non è un buon motivo per abbandonare la mia verità.
Puoi parlare di un esercizio che mi colpì molto durante il laboratorio, lo eseguivamo praticamente tutti i giorni ed era chiamato "Bisoku".
La parola Bisoku probabilmente viene fuori dal lavoro di Min Tanaka, ma non sono sicuro delle sue origini.E non so niente del significato della parola.
La spiegazione del Bisoku che ti sto per dare, l’ho creata io, e di questo sono sicuro.
(Prende un foglio e comincia a disegnare)
Questo è il tuo corpo che ha una direzione, dal punto A al punto B. Per andare dall’origine A alla destinazione B si effettua una sola azione. Di questa azione non abbiamo una reale coscienza. Se tu poni nel centro del percorso un altro punto C, ecco che le azioni diventano due. Più dividi il percorso più azioni devi fare. Puoi dividere il percorso in infinite azioni.
Questo è Bisoku.(Ride)
Totalmente matematico.
Quindi si divide il tempo e lo spazio…
Per esempio tu sei sdraiato per terra: questo è il punto A; quando sei in piedi, stai al punto B. Il percorso per andare da A a B mettiamo che deve durare 5 minuti. Durante questo processo quello che devi fare è dividere il percorso in più parti possibili, cioè compiere più azioni possibili e ogni azione deve avere la stessa durata, il movimento risulterà regolare.
Quindi: dividere il tempo ed essere coscienti del movimento. Questo è l’unico scopo, questo è Bisoku.
Qual è la differenza con il Tai Chi. Anche nella pratica del Tai Chi il movimento è lento e cosciente.
Non trovo così importante trovare la differenza tra Bisoku e Tai Chi, non mi importa.
Durante Bisoku non si dovrebbero effettuare movimenti non consci. Quando muovi il corpo devi essere cosciente. Non importa quant’è la durata del movimento, cinque minuti, dieci, mezzora, un’ora, ma quando ci impieghi troppo a fare un’azione, perdi il senso del tempo.
E’ un buon esercizio per guardare dentro ma anche fuori di te, perchè l’esterno ti da il senso del tempo, se non avessimo un senso esteriore non potremmo muovere il corpo. Un’altra importante cosa è che il nostro movimento nasce dal bilanciamento del corpo.
Il bilanciamento corporeo è peso, il peso è gravità. L’energia, secondo la fisica, è peso, il peso è una forma dell’energia. Anche la gravità è energia, tutto è fatto di energia, è energia che cambia di forma.
Questa è una cosa importante: prendere coscienza del “body-balance”, del peso, della gravità e dell’energia.
Qual è, secondo te, il momento esatto della nascita del Butoh?
Chi ha l’autorità di decidere il momento della nascita della danza Butoh? Questo è il punto.
Gli unici che probabilmente potrebbero dircelo sono Tatsumi Hijikata o Kazuo Ohno.
Ufficialmente Kazuo Ohno non ha mai dichiarato di aver iniziato la danza Butoh, Tatsumi Hijikata invece si, l’ha detto.
(Sfoglia un libro) Ha detto:"Nel 1956". Lo scrisse in un libro nel 1969. Disse che aveva già creato il Butoh prima della performance "Kinjiki". Lo dice lui. Chi può provare il contrario? Io immagino che, realmente, lui fece l’azione di cui parla anche se non ci sono registrazioni, nessuna prova, nessuno che possa testimoniarla.
Sono sicuro però che “Kinjiki” fu a quel tempo una performance che fece scandalo e che molta gente, grazie a questo scandalo potè conoscere lo stile di Hijikata. Quindi probabilmente "Kinjiki" può essere considerata la prima perfomance Butoh.
E’ quindi una domanda puramente accademica?
Sì
Quanto il Butoh si può considerare giapponese, cioè influenzato dalla cultura del Giappone?
La cosa sicura è che ufficialmente due danzatori giapponesi creano la danza Butoh. Questo è un fatto.
Molti ci hanno detto che Tatsumi Hijikata amava la decorazione, la presenza visuale di una parte rurale del Giappone, che ha saputo presentare in un modo veramente esotico. Sicuramente lui amava usare questo tipo di visualizzazioni, ma filtrandole attraverso la conoscenza della cultura occidentale: De Sade, Genèt, Lautremont, Artaud. Il risultato erano figure molto tenebrose, molto esotiche, completamente trasformate.
Certo, quando vedi in scena le decorazioni di Hijikata, tu puoi naturalmente rinoscere la provenienza culturale cioè quella giapponese. Il giapponese che vedeva queste decorazioni poteva riconoscersi, ritrovare le proprie origini, riscoprirle, ed anche andarne fiero. Solitamente ignoriamo che la nostra cultura stia nelle moderne performance, mentre Hijikata prese questa cultura, la contaminò con la cultura occidentale e la ripresentò al pubblico giapponese, in una maniera estremamente affascinante ed esotica. Questo fa parte della sua genialità.
Quindi posso dire che ovviamente tutto aveva come base la cultura giapponese, ma che fosse fortemente connessa alla cultura europea, specialmente la cultura underground, un misto, una chimera.
Questa è la mia opinione.
Ma il Butoh ha delle connessioni con il teatro “Noh” e con il “Kabuki”?
Sì, si possono trovare delle connessioni, se proprio lo si vuole.
Certo, i movimenti lenti del Butoh assomigliano a quelli del teatro Noh, allo stesso modo il volto dipinto o l’uso del make-up assomiglia a quello degli attori Kabuki, ma il processo è completamente diverso. Se non ci fossero queste similitudini, potrei dire che non ci sono connessioni.
Non si può però negare che il teatro Noh o il Kabuki non siano parte della tua cultura. Sono nel tuo corpo.
Se tu pensi questo non mi conosci, perchè io non sono giapponese, non ho sangue giapponese nelle mie vene, sono coreano.(Si ride)
E poi cosa vuoi dire, che tu hai l’arte rinascimentale dentro di te?
Quanto il Butoh è politico? Quanto c’era di politico in Hijikata?
Secondo me è pura azione culturale.
Ma Hijikata parlava in termini anticapitalistici.
Potrei dirti che ogni buon artista è anticapitalista.
Quelli buoni.
Sì. (Ride) Hijikata comunque era molto amico di Tatsuhiko Shibusawa. Era colui che aveva tradotto e portato in Giappone, non senza problemi con la censura, le opere di De Sade. Lui lo aveva molto ispirato. Shibusawa si autodefiniva un anarchico, un anarchico individualista.
Cosa ne pensi di questa standardizzazione della danza Butoh, del fatto che venga riconosciuta e definita per certe caratteristiche della forma?
Noi condividiamo un vocabolario, per esempio i volti dipinti di bianco fanno parte di un vocabolario, sono dei segni, le posizioni del balletto classico fanno parte di un vocabolario facilmente riconoscibile. Anche la danza Butoh ha costruito nel tempo un suo vocabolario. Ma possiamo anche interpretare male. Uno che mi guarda potrebbe dire che io sono cinese mentre non lo sono. Durante una delle mie ultime performance mi sono divertito a mostrare gli stereotipi della danza Butoh, esasperandoli, anche per prendermi in giro. Il pubblico ovviamente non ha capito le mie intenzioni.
Per te questo non è un problema, questo tu lo accetti?
Il problema esiste perchè, quando mi esibisco dichiarando di essere un danzatore Butoh, se non uso i segni del vocabolario che il pubblico conosce riguardo al Butoh, loro potrebbero anche non capirmi, non accettarmi.
Mi ricordo che prima di venire al tuo laboratorio pensavo di dovermi tagliare i capelli proprio perchè pensavo che la testa rasata fosse una delle caratteristiche della danza Butoh.
Questo è il problema.
Infatti ho scoperto poi che Hijikata teneva i capelli lunghissimi e addirittura aveva una folta barba.
Sì, ma dopo il 1972 ha cominciato a costruire un’immagine del Butoh. Molti danzatori occidentali hanno partecipato ai laboratori di Kazuo Ohno, probabilmente se ne sono tornati in Europa con questa immagine del volto dipinto di bianco, tipico di qualche performance di Ohno, da imitare.
Come evitare di imitare il maestro?
Al tempo del laboratorio al quale tu partecipasti mi ricordo di avervi detto di non farlo, di non imitare i miei movimenti, ma adesso lo posso anche accettare. Adesso vi direi: "Per favore, imitatemi il più possibile"
Perchè?
Perchè tutte le attività iniziano dall’imitazione.
Come posso dimostrare che le mie immaginazioni, i miei movimenti siano originali? Non posso.
Non possiamo quindi dire di essere originali?
Il mio concetto è che non ho nessuna originalità perchè ogni cosa viene da fuori. Per esempio: questi quadri che ho dipinto, non sono originali, io ho imitato. La mia immaginazione interna che si è materializzata in questo quadro è un misto di tutto quello che ho visto. Niente è originale.
Giudico bella una danza perchè mi rimanda a qualcosa che ho già visto. Non bisogna essere originali, ogni cosa è imitazione, cosa c’è di sbagliato?
Quindi hai cambiato idea?
Si, ma ogni momento, ogni esperienza è molto fresca. Sto imitando qualcosa, e questo lo trovo in qualche modo molto bello, se sento questo allora l’esperienza si può dire che sia fresca, nuova.
Tu preferisci la danza improvvisata a quella coreografata, vero?
Sì. Ma per me l’improvvisazione è una veloce coreografia. E’ come coreografare il tuo movimento secondo dopo secondo. La differenza tra l’improvvisazione e la coreografia è una questione di tempi.
Da dove nasce il tuo modo di danzare, quali sono nella storia del Butoh i personaggi a cui ti senti più legato?
Volevo conoscere le origini del mio modo di danzare, del mio Butoh.
Ho letto molto riguardo al passato, quello che dicevano i critici, gli storici, e ho capito che la strada di Hijkata non era la mia stessa strada. Hijikata non seguiva la mia strada, per nulla.
Ma credo fortemente che la mia danza sia Butoh, quindi mi sono chiesto: "Da dove vengo?".
Naturalmente arrivo da Min Tanaka, però prima di conoscere Min Tanaka già danzavo, a mio modo, nella stessa maniera di oggi.
Poi ho conosciuto Kazuo Ohno, il modo in cui danzava; ho letto molto su di lui, lui stesso ha scritto un libro veramente comprensibilissimo, e allora mi sono detto che probabilmente sono direttamente connesso con Kazuo Ohno.
Naturalmente ogni persona ha il suo percorso, ognuno ha un differente volto della danza Butoh.
Spesso si mette in relazione il Butoh e lo sciamanesimo, tu cosa ne pensi?
La mia opinione, la mia tesi, è questa.
Lo sciamanesimo richiede una forte presenza della comunità.
Questo è il primo punto.Questa comunità deve avere la sua religione, una religione e una mitologia condivisa. Ogni membro della comunità dovrebbe condividere questa religione e questa mitologia.
A parte rari casi questa comunità non esiste più.
La danza dell’era moderna nasce dopo la scomparsa di questo tipo di comunità. L’abbiamo persa. La danza delle origini aveva collegamenti con lo sciamanesimo ma oggi abbiamo perso questo collegamento.
(Prende un foglio, disegna e intanto mi spiega)
Questo è lo sciamano, e questo siamo noi. Quest’altro invece è l’ambiente.
Questa forte comunità religiosa da la direzione su come percepire, su come comportarsi, su come relazionarsi al proprio ambiente. Semplificando molto, direi che la funzione dello sciamano è quella di connettersi al proprio Dio, agli antichi spiriti, al sovrannaturale e dare loro una voce. Lo sciamano si connette con un altro mondo per dargli voce.
Per fare questo lo sciamano taglia la relazione con l’ambiente e diventa voce dello spirito, allo stesso tempo però lo sciamano è molto sensitivo, racchiude in sè le immagini di tutto l’ambiente nella percezione di ogni individuo.
Lo sciamano per tagliare questa relazione solitamente usa sostanze psicoattive come il peyote, la coca, l’alcool. Per lui queste sostanze sono permesse.
Nella danza invece non c’è un’unica direzione, il danzatore non deve connettersi con Dio, quindi non taglia la relazione con l’ambiente.
Il danzatore continua a tenere questa relazione e anzi dovrebbe cercare di farla crescere, creando dei canali tra l’ambiente e la sua immaginazione.
Il danzatore dovrebbe percepire l’ambiente in cui agisce prendendo coscienza di tutto quello che nasce da questa relazione.
I due processi sono quindi molto diversi.
Penso che le immaginazioni siano molto importanti per creare uno stile. Le diverse tipologie di immagini generano danze diverse. Tu, per esempio, durante il laboratorio ci proponevi delle trasformazioni del nostro corpo particolarmente innaturali.
Non credo che le immaginazioni influenzino lo stile.
Ci sono due strade.
Quella del coreografo che propone delle specifiche immaginazioni, per esempio un serpente che sale dalla tua schiena, perchè vuole che tu faccia un certo movimento. Sono un coreografo che vuole portarti verso una forma che ho in testa.
Se invece non mi importa quale movimento farai, ma voglio solo esercitare la tua abilità di immaginare concretamente, non mi interessa se questo serpente si muove lentamente o velocemente, quanto il movimento sia contorto o lineare, ciò che mi importa è che tu riesca a immaginare più profondamente possibile e quindi che tu sia te stesso.
Nel mio laboratorio uso il secondo metodo: voglio che tu riesca a visualizzare come il serpente si muove secondo te; non mi importa il tempo, non importa la tecnica.
Una cosa importante che voglio aggiungere è che, nella danza Butoh,
realtà e fantasia sono poste sullo stesso livello, sono allo stesso modo importanti.
Immaginazione e realtà sullo stesso piano.
È a questo punto che la mia performance comincia.