Incontrare Robert James Smith.

Mai e poi mai mi sarei immaginato di incontrare Robert James Smith qui dove stò io, e ancora meno avrei immaginato di incontrarlo ai laghetti di Lecchiore.
La vita sa riservare sempre tante sorprese.
Le cose importanti, belle e brutte, accadono sempre quando meno te l’aspetti, che non sai come comportarti. O no?
Fattostà che trovo Robert James Smith, mezzo nudo, seduto su di un masso davanti il laghetto che chiamano “Laghetto delle pecore”. E’ il laghetto più bello dei laghetti di Lecchiore e, ovviamente, quello meno frequentato.
Di spalla, Robert James Smith, sembra una vecchia spettinata.
E’ come ipnotizzato dalla piccola cascatella di fronte a lui.
Robert James Smith ha molto influenzato la mia vita. Vorrei proprio dirglielo, ma non ho il coraggio di importunarlo. Mi spoglio nudo e mi butto. L’acqua è così fredda che, per qualche secondo, non so più chi e dove sono e mi dimentico persino della presenza straordinaria di Robert James Smith.
Mi sono chiesto diverse volte in passato se questa mia ammirazione per lui potesse rappresentare e svelare una mia inespressa omosessualità, ma mi sono risposto diverse volte che ho sempre ammirato Robert James Smith non come uomo, ma come angelo asessuato.
Adesso che me lo trovo davanti, fedele a sé stesso, mi fa un poco pena.
Lo lascio solo.
Sono sicuro ci sarà un’altra occasione per parlare con lui; quando scopri il laghetto delle pecore, prima o poi ci torni.
Mi asciugo, mi rivesto e me ne vado.
Arrivato a casa, mi metto la matita agli occhi e vado a nanna pensieroso.

Incontrare Alec Mackaye

Stamattina scendendo a piedi da Bellissimi a Dolcedo per il sentiero che passa sotto casa che ci metto 15 minuti per arrivare in piazza, vicino il bivio per Borgata Boeri, proprio all’altezza di una delle mille campagne di Battista, incontro Alec Mackaye.
Alec Mackaye è il fratello poco conosciuto di Ian Thomas Garner Mackaye e, per questo, ho fatto fatica a riconoscerlo, anche perché l’ultima volta che l’ho visto eravamo nell’altro secolo.
Quell’aria sofferente e quello sguardo da fratello poco conosciuto non mi era nuova, ma non riuscivo ad identificarlo. Non sono fisionomista. Anche ricordare i nomi e i cognomi non è il mio forte. Chissà per quale imperscrutabile motivo dimentico facilmente i nomi e i cognomi. Mistero.
Ci siamo salutati guardandoci negli occhi, come ci si saluta tra sconosciuti che vogliono essere lasciati in pace per concentrarci sul proprio niente.
Pochi passi però, perché mi sorge un dubbio. Mi giro, mi rigiro e provo a chiamarlo: “Alec” – dico a voce poco più alta del normale, tra il punto esclamativo e il punto di domanda.
Lui si gira con quell’aria sofferente e leggermente persa.
Era proprio lui Alec Mackaye, fratello poco conosciuto di Ian Thomas Garner Mackaye.
Gli dico che lo avevo visto nello scorso secolo, nel 1989, di fine ottobre.
E che già nel 1989 mi sembrava tormentato.
Dice che stava salendo verso non sapeva dove, che da due giorni stava a Diano Serreta, ospite di un tipo con 12 gatti e la cucina piena di merda di gatto, che non si riusciva a starci dentro per la puzza, che il suo amico era un vecchio punk che non voleva sentir ragioni.
Alec dice che ha un gruzzoletto in dollari da parte e che vorrebbe cercarsi, senza fretta, una casa in alta Val Prino.
“Vieni a Bellissimi!” – gli dico io – “E’ un posto tranquillo, dove la sofferenza si scioglie, con un po’ di pazienza.”
Era una mezza verità, perché, a dirla tutta, in inverno sciogliere la sofferenza non era facile neppure lì.
E così ho deciso di tornare sui miei passi per accompagnarlo un pezzo – la bolletta della luce l’avrei pagata un altro giorno – per raccontargli in che occasione lo avevo visto nel 1989, per spiegargli di come si sbattono gli ulivi, di quanto rende una quarta a novembre e che quest’anno il costo del frantoio è aumentato a 25 centesimi al chilo di olive e che sono centesimi di euro e non di dollaro.
Alla fine siamo stati insieme tre ore esatte, a chiacchierare anche di gatti che cagano in cucina e di cavalli che stanno allo stato brado sotto il Faudo. Tra sofferenti ci si capisce.
Gli ho fatto vedere anche una casa che vogliono vendere proprio vicino dove abito io. Non si sa mai.
Sarebbe bello se Alec Mackaye venisse ad abitare vicino a me.

L’attivismo politico è morto.

Non sono mai stato un militante modello.
Non sono stato un rivoluzionario dei più coraggiosi. Lo ammetto.
Alle manifestazioni ho sempre cercato di evitare di trovarmi dentro scontri.
Non amo la violenza, astrologicamente sono terra terra.
Sono carente di fuoco. Non m’infiammo con facilità.
Non odio abbastanza.
Nonostante questo, ho dato il mio piccolo contributo.
Spesso solo numerico.
Di questi tempi, dopo quello che ho visto e, soprattutto sentito, durante questo periodo di psico emergenza, ho preso coscienza che la lotta politica per quello che è stata fino a oggi, non mi interessa più.
Serve un salto di coscienza e sento il bisogno di una riflessione collettiva che porti ad una svolta, un’evoluzione.
Non siamo più credibili.

Questo è un periodo rivoluzionario. E non ce ne siamo accorti.

Prima che scoppiasse tutto, qui nella mia cittadina, stavamo cercando di organizzare, un festival letterario, una fiera del libro libertaria, antagonista, un momento di discussione e riflessione.
Sapete quale era stato il tema scelto? La catastrofe.
Ci avevamo azzeccato, tutto era nell’aria.
A Gennaio, discutendo del più e del meno con compagni e compagne, mi scappò di dire che stavamo vivendo un periodo pre-rivoluzionario.
Sembrava un’esagerazione, era invece una considerazione azzeccata.
Ci avevo visto giusto.
Perchè questo è quello che stiamo vivendo adesso, un momento storico di crisi del sistema.
Io, scemo, credevo che tutti fossimo sempre in attesa di una crisi, che una crisi fosse necessaria, che non ci dovesse spaventare, e adesso che eccola arrivata, non siamo stati capaci neppure di riconoscerla.
A questo punto non c’è più niente da fare.
Non mi aspetto più niente dal mondo della politica, dall’attivismo, dagli antagonisti.
Tabula rasa.
Mi ritiro nella mia piccola comunità. E mi metto in ascolto.
Aspetto un miracolo.
Che arriverà.