La disperazione nei muri a secco

I muri a secco, le pietre, i massi, i sassi, anche le scaglie, sono tristi, anzi, disperati. Considerazione zero.
Vivono oramai fuori dal tempo, anacronistici, condannati alla solitudine e allo scivolamento a valle, a franare.
Hanno pance gonfie, denti cariati, postura pregiudicata.
In bilico precario perdono d’improvviso l’equilibrio, precipitando a terra, una terra dura, bassa, diserbata.
Quando va bene.
Solitamente cadono di notte.
Quando è nuvoloso e minaccia pioggia.
Un riflesso condizionato, una caduta preventiva.

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Nessuno ne ha mai visto cadere uno, si può solo sentire il rumore sordo del tonfo, se state in ascolto, voi che vivete sicuri nella vostre tiepide case.
Il muro a secco viene giù tutto d’un colpo, tutto d’un pezzo, che se non fai a tempo ci lasci la mano sotto.
Il paesaggio ligure è segnato da questa drammaticità, da questa lotta per stare in piedi, nell’indifferenza.
L’aria è pregna di questa lotta e di questa battaglia persa.
Insieme ai muri cadono generazioni, cade una comunità, una società, cade la Storia.
Quando toccano il suolo esplodono, diffondendo nell’aria l’odore del sudore e dell’energie trattenute per anni, decenni e anche secoli.
Certo, il cemento è il nemico, ma il primo vero nemico suo è la rabbia dell’uomo frustrato, che non si assume le proprie responsabilità.
I muri, tutti i muri, hanno una pessima reputazione. I muri van distrutti, son d’accordo. È giusto che cadano. È giusto così.
Fanno paura i muri che non li butti giù neanche con le rivoluzioni.
Invece questi muri, a secco, sono fragili, fanno pena, son da compatire.

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Non sono come gli altri muri, questi, ti lasciano passare, sono pieni di spifferi, permettono alle radici di trovare spazio, lasciano che l’acqua ci scorra dentro e non resistono al passaggio del fuoco e del cinghiale.
Il muro a secco porge l’altra guancia.
Un altro nemico del muro a secco è il diserbo.
Ma non è solo nemico suo.
Il diserbo fa terra bruciata, lascia il muro nudo, sterilizzato, anche le pietre perdono anima e si sgretolano. Anche l’amica edera manca, muore.
Se guardi i muri a secco prendendoti il tuo tempo, vedrai che son tutti diversi, son fatti di mille umori, le pietre hanno infinite facce, puoi vedere le rughe e la smorfia della fatica.
Se affini la sensibilità riconosci la mano, lo stile, e capisci pure se chi ha fatto il muro, quel giorno, era incazzato o aveva mal di schiena.
Puoi sentire l’eco dei porchi dii urlati nella valle.
Una volta quando cadeva un muro era una benedizione, la sua caduta portava lavoro di ricostruzione, adesso se il muro cade viene maledetto, e se cade sopra una strada asfaltata viene una ruspa e se lo porta via.

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Vita in yurta

Caro Enrico,
[…]
L’inverno in yurta non è stato facile, tanta pioggia, fango, mi hanno seriamente messo alla prova.
Devo dire che la yurta si è dimostrata più forte di me, ma entrambi abbiamo resistito e adesso si va verso un periodo in cui tutto sará più semplice e godibile.
Gli agenti atmosferici influiscono, nel bene o nel male, molto di più sul mio umore e sul mio corpo, questa è una cosa ovvia, ma che non avevo previsto in questi termini: il vento, l’acqua, i rumori della natura, del fiume, l’energia della luna e del sole e delle stelle, la temperatura, l’umidità, tutto è molto piú percepibile, nonostante poi non stia vivendo così lontano dal paese, nonostante abbia l’elettricità, l’acqua(fredda), una connessione internet tramite chiavetta e anche un’auto. Non ho lavatrice, lavo tutto a mano, devo scaldarmi l’acqua per lavarmi, devo andare a prendere l’acqua da bere ad una sorgente vicina, mi scaldo con una stufetta a legna, faccio la pipì in giro e la cacca dentro un gabinetto di legno, un gabinetto a secco, non uso carta igienica, ma acqua per pulirmi.
Ho anche un gatto, Shaky, mezzo selvatico, che è arrivato da solo, affamato, ed è restato. Sono contento che si sia fermato. Un mese fa circa durante la notte mi sono sentito sfiorare i capelli, mi sono svegliato e ho scoperto che era stato un topolino. Se ne stava in fondo al letto che mi guardava stupito, non voleva andarsene, forse stava solo cercando di capire cosa io stessi facendo in quel posto.
Devo anche dire che in questa mia nuova situazione mentale sento come se si fosse risvegliato anche il mio lato poetico. Mi sento un po’ di più distaccato, un po’ di più dentro di me. Sto molto tempo da solo. Mi osservo.
La mattina, le prime ore della mattina sono le più proficue, e prima di alzarmi, quando sono ancora a letto, dedico molta attenzione ad osservare miei pensieri, è il momento in cui ho le idee migliori, ma anche i pensieri più negativi.
A Febbraio ho avuto una crisi di nervi.
La pioggia insistente, il rumore dentro la yurta, la febbre, un forte mal di testa, pensieri nefasti, ho perso il controllo per un’ora. Ho dovuto chiamare un’amica per potermi sfogare. Ho pianto, ho urlato, angoscia.
La civiltà in cui viviamo ce la portiamo dentro e dobbiamo farci i conti. È qualcosa che abbiamo nel profondo. Sento come se vivessimo con addosso un fardello enorme di sofferenza, che abbiamo ereditato da secoli e secoli di vita sbagliata. Abbiamo tutto dentro, la sofferenza delle donne e degli uomini, degli animali e di tutti gli esseri viventi, un’accumulazione di dolore che fa parte di noi.
A questo aggiungi le esperienze negative e i traumi che subiamo dal momento del parto, dall’educazione, dalla scuola, dal mondo del lavoro, i rapporti malati tra le persone, il tutto diventa tanto, troppo. Razionalmente direi che non c’é niente da fare, ma sento che comunque ciò che potrebbe rendere la vita degna di essere vissuta, l’unico passaggio che sono sicuro si debba fare, sia quello della consapevolezza e del “restare”, non scappare, lucidi.
In tutti questi mesi inoltre, mi sono poi confrontato con i miei pensieri: da dove nascono, perchè arrivano, cosa rappresentano. Ne riparleremo.
Sembra che non mi succeda niente, ma invece succedono tantissime cose.
Mi sembra di non far niente, ma faccio tantissimo.