Entries Tagged 'per buco' ↓

piove affanno

E così, pensi che io abbia un approccio sbagliato alla vita, che vivo nella sofferenza, che sono chiuso al mondo, che quindi sono io che voglio isolarmi, che mi emargino. Insomma sto sbagliando atteggiamento.
Ho cattive letture, cattive amicizie, cattive ideologie?
Ho sbagliato strada?
Se penso alle scelte che ho fatto nella mia vita, le vedo sempre motivate da un desiderio di benessere e libertà. Se sono venuto a stare dove stò, per esempio, è perchè volevo evitare di entrare nel mondo del lavoro, perchè di solito il lavoro fa stare male ed è politicamente inaccettabile, essere sfruttati, o autosfruttarsi. Nel mondo del lavoro ci sono stato per un decennio ma poi ho sentito che dovevo fare qualcosa, che dovevo smettere.
Mi sono illuso di fare scelte che potessero ridurre il rischio di ammalarmi, evitare di sfruttare gli altri, cercare un po’ di contatto con quello che è naturale, cercare di arrivare alla vecchiaia con le mie gambe, senza dover essere assistito.
Ma naturalmente ho fatto degli errori e ho dovuto confrontarmi con quello che sono, con le mie paure e i miei limiti. E a volte ho sbagliato nelle relazioni con le persone, con le quali ho spesso dovuto dare delle spiegazioni. Ho vissuto sulla difensiva, perchè tutto in questa società deve andare in una certa maniera e chi non segue la linea deve far i conti con il giudizio e il pregiudizio.
Ho fatto fatica, a modo mio mi sono scontrato e inevitabilemente sto perdendo: politicamente sono un perdente, economicamente sono un perdente, nei rapporti sociali sono uno difficile, e ora anche sentimentalmente sono sconfitto, non ci stai più dentro e sono abbandonato.
In questo momento sento d’essere arrivato alla fine di un percorso, che anno dopo anno si è fatto sempre più stretto. Prima che si chiuda definitiviamente è meglio che mi dia una mossa.

buco fisso

Oggi mi sono svegliato pensando che, in questo momento, un bel lavoro fisso mi farebbe proprio comodo.
Alzarsi con degli orari prestabiliti, una mansione che ti occupa la testa, tanti colleghi con cui scambiare quattro chiacchiere, una pausa per mangiare assieme ad altri, e poi riprendere nel pomeriggio, anche senza nessuna voglia, anche facendosi un poco di nervoso e di stress.
In momenti di difficoltà, invidio chi un lavoro o addirittura un posto fisso ce l’ha e lo può usare come psicofarmaco, sana alienazione che ti porta via da brutti pensieri, che fa passare del tempo, che distoglie dalla propria crisi, che ti allontana da te stesso.
È per questo, forse, che il lavoro, e il posto fisso in particolare, è così desiderato: perchè ci porta via dai nostri turbamenti, perchè rimanda il problema, che non sparisce, certo, rimane lì ad aspettarci, ma almeno non lo vediamo.
Invece sono qui. A guardarlo.
A guardare le pareti dei miei schemi, che devo superare.
Faccio fatica, forse non c’è niente da fare, ci provo.

ritornare alla terra (madre)………. cose non dette ieri sera

“Una tormenta di neve mista a pioggia continua ad imperversare.
Un vero tempo da cani.”

-brano scelto a caso da un libro a caso-

Non sono così sicuro di voler tornare alla terra.
Sicuramente non alle condizioni che il cattivo senso di questo tempo ci imporrebbe.
Ormai so troppe cose su questo sistema per credere che il nostro benessere possa passare attraverso la dittatura del decespugliatore.
Mi guardo attorno e sono contento di vedere alberi di ulivo che seccano. A loro non interessa del nostro destino e si lasciano morire senza crucciarsi troppo della sofferenza.
Sono contento che i giovani non vengano qui per tentare di riportarli in vita. Immaginate queste campagne sottratte al rovo a colpi di motoseghe, falciatrici, motozappe, trattori e trattorini, un esercito a motore che non mi porterebbe sollievo, ma solo voglia di andarmene.
Tirare in piedi i muri a secco? Secco contro cemento?
Solo i ricchi turisti vogliono i muri a secco perchè vogliono personaggi anacronistici che fanno mestieri antichi, qualcuno che fa sempre piacere avere attorno, tra una speculazione in borsa e una transazione immobiliare.
Ma…allora….cosa rompi il cazzo!
Proponi qualcosa di decente e che ci dia qualche soddisfazione anche economica.
Vabbè.
Se proprio vogliamo farci il culo su questa terra, se proprio vogliamo respirar miscela, logorare schiene, articolazioni, rischiar di cader da un albero o finirci sotto, spaccar pietre e tirare cristi, almeno….
Almeno cerchiamo d’essere onesti con noi stessi e di non prenderci per il culo. Cerchiamo prima di tutto di ridurre il rischio, come fossimo dei tossici, che significa ridurre il più possibile il lavoro, e poi collaborare il meno possibile, o anche niente, con una visione commerciale dell’agricoltura, infine smettere di raccontarci la storiella della campagna perduta e della gioia di vivere all’aria aperta.

non mi vedranno mai

Si parla tanto di anonimato, ma meno di invisibilità.
Potrebbe essere proprio l’invisibilità la soluzione o quantomeno una possibile soluzione alla sopravvivenza.
Non esistere o almeno non essere visibile.
Nel “non apparire” ci potremmo ritagliare uno spazio di libertà.

Potrei fare tante cose nella vita, sento di avere delle capacità e delle doti pure io – lo giuro! – che potrei sfruttare. Potrei propormi seriamente nel mercato del lavoro. Potrei anche fare un sacco di soldi se solo mettessi da parte un paio di remore ideologiche e alcune non importanti attitudini caratteriali, d’altra parte di compromessi se ne fanno tutti i giorni.
Con un pizzico di creatività – ed io di creatività stanne certo ne ho alla grande! Oh! se ne ho di creatività! – potrei vendere quello che più mi appassiona, mi diverte, mi piace. Potrei vendermi.
Vivere in questa società potrebbe essere come giocare, divertirsi coi numeri dell’economia, fare a gara con i concorrenti, sgomitare, chiudere un gli occhi, turarsi il naso, tapparsi la bocca, legare il corpo e lasciarsi andare nel vuoto.
Lo fanno miliardi di persone, perchè non potrei farlo anche io?

Invece, ovviamente, niente da fare. Non solo non ci riesco, ma credo sia meglio fare qualcosa in più, andare oltre.
Preferisco non esserci, starmene fuori.
Fuori dalle statistiche, fuori dai loro libri contabili, fuori dagli uffici collocamento, ma anche accettare il rischio più generico di non apparire e quindi di non essere mai esistito.