IL BUCOQUADRATO

17/05/2009

lavorare con lentezza e gratis

Filed under: soldi — vitomora @ 12:11 pm

Sto lavorando gratis.
Sto facendo questo.
Non sto lavorando gratis per dei porci capitalisti, questo non lo farei mai, sto lavorando gratis per amici.
Instaurare rapporti non mediati dal denaro é un´esperienza che consiglio di fare a tutti, per capire quanto siamo condizionati da questo modello economico che imbeve ogni momento della nostra giornata.
Uccidi il capitalista che c´é in te é una bella impresa.
Lavorando gratis ci confrontiamo con la nostra anima mercantile che monetizza ogni secondo della nostra vita, che ci obbliga a relazionarci agli altri in termini di convenienza e di opportunismo, che ci obbliga a stare in guardia dallo sfruttamento, a pararci il culo.
Ti avviso, lavorare gratis ti puó far sentire un idiota.
E come infatti, non lo dico tanto volentieri qui in paese.

Veramente gratis gratis non lo é. Ho chiesto qualcosa in cambio.
In cambio di questo lavoro ho chiesto libertá, ho chiesto di farlo come voglio io e senza fretta.

Regalare é moooolto piú impegnativo che barattare, scambiarsi le ore.
Il regalo é vero solo quando non vuoi niente in cambio, nel profondo. Regali perché pensi che sia giusto cosí ebbasta. Senza interessi e senza non interessi.
In questo momento sono piú o meno a metá dell´opera, ho superato piccoli momenti di perplessitá tenendo a bada i cattivi pensieri, ma sono contento.
Fare muri a secco mi piace e questo aiuta molto.
E poi, comunque, sono ricompensato da molte cose:
-le emozioni di vederlo crescere
-il riconoscimento di aver fatto qualcosa di utile
-il piacere di andare controcorrente
-varie ed eventuali

16/05/2009

sbandato e felice

Filed under: per buco — vitomora @ 9:14 am

Mi sento fuori schema.
Mi sento come se non appartenessi ad una precisa categoria sociale, culturale e politica. Che in teoria dovrebbe essere una bella cosa.In teoria.

Se mi chiedono che lavoro faccio non so cosa rispondere, ho delle evidenti difficoltá a rendere l´idea. Dico che cerco l´essenziale.
Sono un´essenzialista?

I miei capelli adesso sono corti ma li lascio crescere fino a che non mi rompono i coglioni, e quindi li taglio. Molte persone tengono il loro taglio di capelli sempre quello, per decenni.
Non sono stabile.

Alcuni pensano che io non abbia problemi economici, invece i soldi sono forse la mia preoccupazione principale e non perché non so come gestire i capitali, ma perché non sono capace a vendermi.

Se mi chiedete che musica preferisco, balbetto.
Ci sono stati periodi della mia vita in cui ho avuto le idee veramente molto chiare, dal 1980 al 1995 non avrei avuto problemi a rispondere.
Stessa cosa se mi chiedete di cinema, difficile districarsi tra i milioni di film che si vedono ogni anno. Ricordo a fatica le trame, piú che altro ricordo le sensazioni che mi hanno lasciato. E’ raro trovare un film che mi cambi la vita per piú di mezzora.
C´é Loach come salvagente, sempre pronto a tirarmi fuori dall´impaccio, grazie Ken, se smette di fare film lui, dovró cercare un sostituto, un´impresa. Che poi non é che Ken Loach mi piaccia piú cosí tanto, lo si guarda per partito preso, come si ascoltavano i Wretched o i Kina.

Non so come vestirmi, cioé mi vesto cosí come capita, ma non casual, non so se mi spiego.
Ho delle maglie che hanno 20 anni di vita, ma continuo a metterle perché non trovo di meglio in giro. Guardando le vecchie foto mi rendo conto di come io stia invecchiando insieme ai miei vestiti.
Ho avuto anche in questo campo le idee chiarissime in passato, ero riconoscibile, raggruppabile, catalogabile, adesso no.Un po’ mi spiace.

Sono disoccupato ma non risulto in nessuna statistica, e per di piú non cerco lavoro.
Questo é anche preoccupante. Le politiche lavorative non mi contemplano, detto tra di noi, un po’ di cassa integrazione me la farei anche volentieri.

Studio, cioé sono uno studente ultraquarantenne spesso in incognito, e faccio muri a secco che non ci crede nessuno e non c’ho neanche il fisico; studi e lavori anacronistici che descrivo con difficoltá.

Non é facile vivere in queste condizioni. Ma credo di farcela.

23/04/2009

tremare

Filed under: per buco — vitomora @ 11:02 am

Nel 1993(tutto accadde nel 93), con una parte della liquidazione (vedi "mi hanno fregato"),
me ne sono andato in India per ritirarmi, un mesetto, in un notissimo
ashram indiano.
Durante la partecipazione ad una “three days full immersion
meditation”, un viaggio nelle recondite regioni di me stesso, un
disastroso terremoto faceva qualche decina di migliaia di morti e
feriti nella illusoria vita materiale dell’India.

BOMBAY. 1 Ottobre 1993.
“Una tragedia umana di dimensioni inimmaginabili”.
Cosi’ i primi soccorritori hanno definito il terremoto che alle 4 della
notte di mercoledi’ ha devastato una zona centrale dell’ India, nello
Stato del Maharashtra. Le vittime sono almeno 16 mila, i feriti 10
mila, e il bilancio finale rischia di essere ancora piu’ grave. Sotto
le macerie ci sono ancora migliaia di corpi intrappolati e i soccorsi
fanno fatica a raggiungere questa area isolata, dove centinaia di
villaggi sono rasi al suolo. In alcune metropoli, come Bombay,
Madras e Hyderabad, le scosse (di 6,4 gradi della scala Richter)
non hanno provocato danni ma terrorizzato la popolazione, che ha
trascorso la seconda notte all’ aperto per paura di nuove scosse.
Fonte:Corriere.it

Io, come gli altri occidentali, non mi sono accorto di niente,
probabilmente perchè alloggiato in un moderno edificio piramidale
in cemento armato o forse perchè considerai il movimento tellurico
eventualmente avvertito, un riflesso del mio sconvolgimento
interiore.
Dopo tre giorni esco dall’ashram, illuminato, ma ignaro di quello
che era successo.
La famiglia dall’Italia era preoccupata ed io non mi facevo vivo.
Girovagando per la città ho notato qualche palazzo crollato e
un po’ di trambusto ma non ho dato peso a quello che vedevo,
d’altronde l’India può essere anche questo.
Mi stavo approssimando all’ingresso dell’ashram quando sono
stato avvicinato da un gruppo di persone che avevano allestito un
tavolo, simile a quello che si fa per la raccolte di firme qui da noi.
Annoiato e circospetto mi avvicino.
Improvvisamente, come se l’effetto della full immersion fosse
terminato, mi sveglio dal torpore mistico: erano studenti indiani che
raccoglievano fondi per i terremotati e mi chiedevano di affiggere
un manifestino-appello all’interno dell’ashram. Dicevano che non era permesso loro l’accesso a quel luogo.
Offro una mazzetta di denaro (5000 lire circa) e mi faccio dare un manifestino assumendo un’aria responsabile.
Entro nell’ashram e a fatica trovo un posto dove attacchinare il messaggio.
Sento una grande distanza tra l’interno e l’esterno.
Tra me e l’hashram.
Mi sento una merda.


11/04/2009

il mio 68 é l’88

Filed under: sobbalzo — vitomora @ 9:15 am

Mi è stato chiesto di scrivere qualunque cosa sul ’68, ma non posso scrivere del ’68, non sono esperienziato, ho perso il treno, ho visto l´autobus partire, la nave é salpata senza me, il check-in era giá chiuso e a Valle Giulia sono arrivato che i sanpietrini erano di nuovo tutti al loro posto.
Il ’68 per me non è esistito.

Ero invece presente nell´88.

Nel 1988 occupammo Sobbalzo, che non era la Sapienza e neanche il Virus, ma per noi quello era il nostro Maggio francese, era l’inizio e la fine della nostra rivoluzione e c’era anche chi ci credeva.

Posso parlare dell’88, che ne so qualcosa, non però a Parigi, a Berkeley o Roma, ma ad Imperia, in Piazza S.Francesco da Paola, al numero 68, primo piano a sinistra, essì perchè quell’edificio, il Palazzaccio, non riuscimmo mai ad occuparlo tutto, era troppo grande per le nostre paure.

Il lato destro, è vero, diventò poi nostro, ma al piano di sopra ci abitava un tipo strano, messo lí dall’amministrazione comunal-condominiale, una specie di portiere, pancia gonfia, Ape 50, una guardia sdarrupata, poco raccomandabile, un muro invalicabile, dovrebbe essere già morto.

Quando entrai la prima volta in quel palazzo, del ’68 sapevo pochissimo, e non ero l’unico, diciamo la verità, eravamo in tanti ad essere ignoranti.

Nel 1968 avevo sei anni, durante il Maggio, sei anni e quattro mesi, e mentre altri facevano le barricate io facevo le stanghette, ed ero senza opinioni, ero beato. Vent’anni dopo però noi ci ritrovammo con le chiavi del paradiso in mano, aprimmo e conobbi Marco Beltrami che mi disse: “Ciao, mi piace sapere con chi faccio le cose, mi chiamo Marco” porgendomi la mano, “Io sono Vito, piacere”. Qualche mese dopo involontariamente quasi mi accecava. Ma non era per questo che il mio rapporto con lui non funzionava. Adesso in Paradiso lui ci sta davvero, ed è anche in buona compagnia.

Oltre lui, conobbi tanta gente e anche la storia, feci un po’ di storia, fotografie, scrivemmo alcune delle più belle pagine della storia italiana. Come quel giorno in cui arrivando al Centro, sopra al portone d’ingresso c’era un tipo, in piedi, in equilibrio precario, sul davanzale della finestra, che pisciava sulla piazza sottostante, schivai lo zampillo ed entrai. Oggi quel tipo, vestito bene, giacca e cravatta, gira per Imperia e parla amabilmente con non so chi. Non era uno di noi, era un reazionario.

Eravamo tutti là dentro, tutto il nostro mondo stava lì, stipato, le sale erano stracolme, le persone ammassate una sopra l’altra, muri di corpi ardenti, che urlavano, scopavano, mangiavano, briciole dappertutto, le stanze erano senza muri, si sentiva tutto, l’immaginazione era al potere e anche la demenza.

Il tempo non esisteva, quell’88 è durato mille anni, una vita. E c’è chi c’è rimasto.

Ci facemmo le osse dentro quel sobbalzo, conoscemmo l’amore folle e il sano odio, l’anarchismo, il comunismo e il situazionismo, ma stavamo tutti insieme ed era questo il bello, finchè è durata.

Quelli che avevano fatto il 68 venivano nel Centro quasi di nascosto, sbirciavano, sfogliavano l’album dei ricordi, facevano domande, volevano capire, valutare, interpretare, ma a parte qualche eccezione rara, tenevano le distanze, ed alcuni li abbiamo anche cacciati.

Di settantasettini invece ce n’eran tanti, anche troppi forse. Avevano le idee chiare, troppo chiare rispetto a tanti che invece non sapevano di mezzi e fini ma vivevano il momento, e basta.

È là dentro che conobbi Franco Di Fiore, mio maestro, là dentro vennero i Negazione, a suonare attaccati al soffitto come ragni, in una stanza 4 per 4, sopra un lago di sudore, ho ancora i lividi. Conobbi uno, cento, mille geni e folli, alcolizzati, lucidi pensatori, un giorno arrivò anche un santone e fors’anche un terrorista in fuga, che ci fece il predicozzo perché si giocava a dama, o forse, ancora peggio, a scacchi. Là dentro nacque la Lega dei Furiosi, mica il Cespim.

Con l’Egregio, gestivo una stanza dentro il Sobbalzo, luogo di distribuzione di contro-informazione: libri, riviste, dischi, pezzi che oggi valgono oro al mercato dei collezionisti (brutta gente). Noi ce ne fregavamo del mercato, regalavano anche, e se ci rubavano qualcosa eravamo fin contenti, cosí imparavano. Era cosí tanto frequentata quella stanza che ce la facevano spostare in base alle necessitá: traslochi strategici. L’Assemblea con l’a maiuscola, ci metteva dove c’era bisogno ci fosse gente e se c’era una riunione dovevamo tenere chiuso.

Io stavo sempre lá, anche quando uscivo per andar a controllar biglietti, non volevo perdermi niente, ma mi sono perso tanto, succedevano troppe cose, mi sono perso per esempio le botte tra autonomisti e canisciolti. Ma che dico? Era giá il ’90.

Dentro Sobbalzo non c’era il male e neanche il bene, non c´era dualità, si sperimentava la libertà. Le idee erano tante quante i suoi frequentatori, era un casino, le assemblee erano senza regole, si urlava da sopra le sedie per farsi sentire, ma alla fine qualcuno decideva anche per tutti, all’unanimità e i timidi stavan zitti.

I muri pieni di autentici capolavori, anche un tipo con un cazzo in testa, spazio libero perchè occupato, nè eroina nè polizia, ma non era vero, non ce la facevamo a tenerli fuori, spingevano, volevano entrare, uno spazio libero da leccarsi i baffi, sia per i tossici che per i pulotti.

Un manifesto con un carabiniere con la testa di cane e un cane con la testa di carabiniere restò solo due giorni sui muri della cittá, eravamo troppo per Imperia.

“Normalizzatevi!” urló Claudio Scajola, il sindaco, mica uno qualunque.

Piú tardi, solo piú tardi, venne la moda del muro bianco e delle manifestazioni comunali per i graffitari.

Quest´anno fanno 20 anni.

20+20 fa 40, 40+6 fa 46, il conto é giusto.


apparso su: capitalismo

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